Ministero Istruzione e (quale) merito

Giuseppe Valditara, tre volte senatore con Alleanza Nazionale e Popolo delle Libertà, relatore di maggioranza della riforma Gelmini, è il nuovo Ministro dell’Istruzione e del merito. Dopo la sua nomina ha dichiarato: “Aver coniugato Istruzione e merito è un messaggio politico chiaro”. E su questo non ci sono dubbi.

Una nomina arrivata proprio nell’anno del centenario di Mario Lodi, con quello di Bruno Ciari e Don Milani alle porte.
Per quanto sbigottiti, non possiamo che dare al Ministro Valditara e al nuovo governo “merito” di aver scelto questo nome rendendo esplicito l’implicito degli ultimi decenni di politiche scolastiche. Chiarendo già nel nome l’orizzonte che si profila per la scuola e le direzioni dell’impegno politico e pedagogico e della lotta di quanti lavorano quotidianamente per una Scuola della Costituzione in condizioni difficili, in edifici non a norma, bloccati dalla burocrazia ipertrofica, con la riduzione del tempo scuola, la precarietà delle risorse umane, la logica dei bandi, le continue riforme…

L’ideologia del merito
La caduta delle ideologie nelle società tardo capitaliste ha fatto spazio ad una nuova e più seducente narrazione: quella del merito. Sono anni che in sordina, ma nemmeno tanto, l’ideologia del merito è diventata parte integrante del discorso pubblico sulla scuola.

In tutti i campi della vita sociale viene evocato come orizzonte di cambiamento o come chiave di volta per qualsiasi progetto di riforma. Con la sua promessa di eguaglianza, l’idea di garantire pari opportunità lavorative, mobilità sociale esclusivamente ai meritevoli indipendentemente dalle loro condizioni di partenza e di penalizzare i non meritevoli esercita una comprensibile attrazione. (Boarelli – L’ideologia del merito 2019)

Nella scuola era nell’aria da tempo: ha cominciato la Gelmini nel 2008 reintroducendo il voto nella scuola del primo ciclo; poi è stata la volta della Buona scuola con la premialità per gli insegnanti. Lungo la stessa traiettoria siamo da poco arrivati al docente esperto.

Ma ora il salto è netto: le politiche regressive iniziate negli anni ’90 sono all’attracco in un Ministero dell’istruzione e Merito che intende legittimare anche formalmente nel sistema scolastico italiano lo spirito concorrenziale e competitivo tipico delle società neoliberiste.

Se la Costituzione ha stabilito 8 anni di obbligo, poi diventati 10, è perché compito della scuola è mettere ogni soggetto nelle condizioni di apprendere, di imparare a pensare e imparare a vivere insieme.
L’unico merito che qui trova legittimazione costituzionale è quello che andrebbe riconosciuto a un Ministero capace di garantire al sistema d’istruzione le condizioni strutturali e pedagogiche affinché insegnanti e dirigenti possano lavorare per rimuovere gli ostacoli assumendo l’impegno di lavorare sulle diversità, di tener conto degli stili di apprendimento, delle intelligenze, dei tempi di ognuno/a, dei particolari bisogni formativi.
Una scuola che non trasformi le differenze in ingresso in disuguaglianza in uscita.

Nel 2011 scrivevamo: “Nella società della conoscenza le competenze presupposte dal sistema formativo “appartengono” naturalmente a una particolare fascia sociale che vive quotidianamente quel linguaggio e quei contenuti, per cui risulta più facile costruire schemi assimilatori per elaborare il sapere richiesto nei tempi previsti. Uno Stato che si definisce democratico non può che agire come detta la nostra Costituzione, rimuovendo effettivamente gli ostacoli che trasformano le differenze in disuguaglianze. Invece diventa sempre più concreto il disegno politico che all’aumento delle libertà individuali fa corrispondere una diminuzione sostanziale dei dispositivi di tutela del singolo da parte della collettività.”

Da allora le cose non sembra siano migliorate e ora, con quest’ultimo tassello, si concretizza (forse…) un disegno politico che in realtà viene da lontano.
Il risultato è una sorta di naturalizzazione delle disuguaglianze. E sono proprio i soggetti discriminati che facendo precocemente esperienza di esclusione, di insuccesso formativo, e privi delle competenze per una cittadinanza critica e attiva, si rendono “funzionali” al sistema. Il “successo” delle politiche populiste e sovraniste è l’altra faccia della medaglia, quello che dà forza ad un progetto che vuole smantellare nei fatti lo stato democratico affondando le sue radici nel qualunquismo e nel disimpegno della gente comune.
Ecco allora che possiamo immaginare fin d’ora l’impegno che sicuramente profonderà nello sviluppare, proprio attraverso il sistema d’istruzione, le condizioni per la sua stessa sopravvivenza.
È quindi urgente che insegnanti, associazioni democratiche e progressiste del Paese mettano in campo strumenti adeguati per far sì che, nonostante la deriva a cui probabilmente assisteremo, si continui da un lato a lavorare con impegno per una scuola che elabori un discorso adatto a contrastare i luoghi comuni regressivi che la politica potrebbe imporre alla scuola e, dall’altro, promuova e organizzi una lotta politica in grado di contrastare ogni intervento teso a impedire uguaglianza e giustizia tra classi sociali.
Non siamo nuovi a questo impegno, separare il “fare scuola” dall’impegno politico non ha mai pagato. E ancor meno lo farà nel futuro incerto che ci aspetta.
La storia dei nostri maestri ce lo insegna: Freinet, Lodi, Manzi, Ciari, Milani, Alfieri, Ridolfi… tutti hanno avuto le loro lotte da portare avanti, sul loro territorio e oltre, e si sono “sporcati le mani” per far crescere un progetto educativo che era un tutt’uno con una chiara visione politica, un’utopia forse, ma capace di creare “movimento”.

La Segreteria nazionale
del Movimento di Cooperazione Educativa