Tra zolla e cielo

Caro Andrea, per tutti noi sei stato un riferimento continuo, un invito a non mollare, uno stimolo a fare della cura delle nostre bambine e dei nostri bambini un impegno di vita. 

Continuerai a illuminarci perchè ci lasci una grande eredità. 

Abbiamo imparato a leggere la speranza nelle nostre azioni, a custodire le piccole cose che funzionano e a valorizzarle per rinnovare la scuola per tutti e tutte. Siamo diventati serbatoi di buone pratiche e abbiamo messo al centro dei nostri pensieri e delle nostre azioni parole che servono a modificare i contesti perché tutti e tutte possano trovare spazio nel mondo: cura, armonia, sinergia, sostegno diffuso, soprattutto responsabilità.

Abbiamo fatto molti pezzi di strada insieme Andrea,  ci hai guidati a comprendere  che il conflitto non è dell’individuo ma del contesto; che occorre uscire da una visione di scuola simultanea in cui tutti dovrebbero imparare con gli stessi tempi e con gli stessi modi; che alla logica del curare per adattare si deve sostituire quella del prendersi cura, di intervenire sul contesto per favorire l’espressione della soggettività e delle potenzialità di ognuno, per far sì che tutti possano sviluppare al massimo le loro capacità. 

Nel libro che abbiamo pubblicato recentemente sulla valutazione hai condiviso con noi uno strumento di autovalutazione, il dossier personale, per dare la possibilità ad ognuno-a  di  conoscersi e per costruire quelle capacità di autoregolazione che sono le uniche in grado di darci una misura del nostro apprendere. 

Insieme a te abbiamo imparato che i sentieri dell’apprendimento sono molteplici e che è compito di noi insegnanti rendere visibili le tracce di ogni percorso, affinchè nessun bambino si perda nel bosco.

Hai partecipato alla chiusura dei festeggiamenti per i 70 anni del Movimento al CEIS di Rimini, un incontro che non sapevamo sarebbe stato l’ultimo. 

In quell’occasione ci raccontasti di come siamo tutti un po’ analfabeti e abbiamo bisogno di scoprire che c’è qualcosa che funziona, a partire da un diverso uso che facciamo delle parole. 

Le parole sono l’esempio interessante di questo: una parola può dire una cosa che blocca, trafigge, inchioda oppure essere l’elemento di lancio per vedere qualcosa in più. 

Il problema diventa chiudere oppure aprire a un futuro. 

Se lavoriamo sulla monografia partiamo con l’idea che tutti possono contribuire. 

Se mettiamo in moto il consiglio cooperativo partiamo dal riconoscere che tutti possono partecipare. 

Il compito dell’educatore, dell’insegnante è mettere in collegamento. Serve qualcuno che fa il cablaggio… 

Questo permette di mettere in collegamento l’adesso con il futuro. 

Nella zolla vedere il presente, nel cielo vedere il futuro.

Il collegamento tra la zolla e quello che verrà  è nelle nostre mani…

Grazie Andrea! Il tuo lascito culturale, pedagogico e la tua straordinaria esperienza di uomo, continuerà ad essere per noi MCE una lente per vedere la zolla,  un richiamo  alla responsabilità, ispirazione  e nutrimento  per volgere lo sguardo al cielo.

La segreteria nazionale

PER ANDREA. RICORDI, PENSIERI, TESTIMONIANZE

In memoria di Andrea Canevaro

La passione per gli alberi genealogici è sempre stata di casa nel Movimento di Cooperazione
educativa: Mai abbandonare le radici, rafforzare il tronco, lasciare che i rami si espandano. A volte
usavamo anche l’immagine rovesciata per rappresentare l’albero a testa in giù come lo aveva
ipotizzato Platone o come lo si era pensato nel Medio Evo, le radici che tendono al cielo.
Gli anni ’50, per la scuola, per il pensiero pedagogico, per la crescita socio-economica hanno
rappresentato il lento ma tenace lavoro delle radici. L’energia e gli umori nutritizi venivano
anzitutto dalla volontà di voltar pagina. La guerra agita fatta di morti confuse seminate da nemici
ed alleati, di distruzioni, era comunque finita. Giovanna Legatti, Giuseppe Tamagnini, Mario Lodi e
quel pugno di maestri e maestre innovatori ed innnovatrici, per nulla al mondo avrebbero
rinunciato alla domanda su come si poteva cambiare la scuola. La strada delle tecniche divenne la
via che più tardi la Pedagogia Istituzionale avrebbe chiamato “dei materiali mediatori” e della
mediazione pedagogica; proprio Andrea Canevaro, saprà come reimpostare paradigmi, concezioni
ed assetti del corpo compatto della scuola introducendo i principi lella Pedagogia istituzionale
(Vasquesz e Oury). Gli anni ’60 tolsero il velo al pionierismo, allargarono le sperimentazioni e lo
svecchiamento, contribuirono a portare aria fresca dentro alle aule assieme a terrari, erbari, a
volte animali ed arnesi disparati. La tipografia fu davvero come la scoperta della stampa
cinquecentesca. Sancì la libertà e la circolazione del pensiero, l’apertura ad altre classi.
L’esclusione dei ceti più deprivati che portava il segno della negazione di tutto quanto riguardasse
la materialità della vita quotidiana, assumeva, risignificandosi, la connotazione di sapere e trovava
spazio dentro alla sacralità dell’aula . Il sapere delle stagioni, dei bachi e della loro metamorfosi,
della statistica dei giorni piovosi o sereni era finalmente compreso e fatto convivere con il sapere
dei libri . Tutto questo è descritto con dovizia di particolari da Mario Lodi in: “C’è speranza se
questo accade al Vho”. Dice bene Mario; è apparsa una fetta di luce che filtra proiettandosi sul
pavimento, quando si socchiude la porta. Rodari osserva le luci e le ombre delle nuove pratiche,
ne riconosce l’enorme spinta simbolica, la possibilità che, passando per un tocco di surrealismo, si
potesse leggere il reale scherzandoci su, ironizzando, rovesciando sensi e giocando con le parole,
spingendo l’azzardo fino ad una nuova concezione etica del vivere e dell’organizzazione sociale.
Facendo quello che Calvino fece, in modo più amaro e disincantato, con i racconti sui Marcovaldi
che si perdevano nella finzione dell’abbondanza a portata di mano.
La scuola si sprovincializza, ci sono fermenti che la scuotono, che la attraversano, che la rinnovano,
che mettono ferocemente in discussione il suo carattere selettivo ed autoreferenziale. Il testo
collettivo delle nuove metodologie Freinet serve a don Milani che aveva accettato la lezione ed era
entrato in questo corto circuito, per mettere a punto “Lettera ad una professoressa”, una
invettiva senza peli sulle responsabilità di un’Istituzione che perde molti, troppi/e, per strada. Un
“j’accuse” politico perfettamente intonato ai tempi e ad una coscienza nuova dei diritti
fondamentali. La pedagogia traballò come disciplina, l’Istituzione scuola fece argine e contenne il
fiume in piena.
Nacque la scuola media unica. Ma ragazzi e ragazze continuarono e continuano a perdersi nel
bosco.
Lo ha capito bene Andrea Canevaro. Lo hanno capito molti insegnanti animati dal migliore degli
spiriti innovatori ma avversati dalla sindrome del Don Chisciotte. Lo hanno vissuto molte famiglie
che avevano gioito per lo statuto dei lavoratori (1970) ma dovevano lasciare i loro figli in scuole
speciali o ancora nascosti in casa perché la scuola non ha potuto accoglierli, in quanto diversi, fino
al 1975, anno del primo esito/pubblicazione del documento Falcucci e poi il 1977 con la 517 che
sancì la possibilità di frequenza scolastica a tutti gli alunni con disabilità. Una conquista normativa
enorme ma costellata di innumerevoli difficoltà. Fu una seconda rivoluzione copernicana ed
Andrea Canevaro divenne per il mondo della scuola e per il Movimento di Cooperazione educativa
uno dei punti di riferimento imprescindibili assieme alla sua facoltà, ai suoi collaboratori, al Ceis di
Rimini, al lavoro di ricerca sull’autismo e sulle infinite gamme di problemi che assommiamo dentro
la parola “diversità” o handicap. Con l’ingresso degli alunni ed alunne con (dis) abilità, non era la

normalità che imprimeva i ritmi alla diversità ma era la diversità che chiedeva che cambiasse la
collaborazione tra alunni ed alunne, il modo di fare i gruppi di lavoro, di disporre i banchi, di
sistemare l’ aula, di distribuire i tempi. Fu necessario che gli strumenti venissero ridiscussi,
moltiplicati, riadattati. Forse, in nome della prima rivoluzione delle tecniche, questa rivoluzione,
controversa, è passata più in sordina, accompagnata da un dibattito spesso leguleio sul ruolo
dell’insegante di sostegno.
L’Istituzione ha continuato ad essere una casamatta, un baluardo che per riprodursi ha dovuto in
parte conservare le sue regole totalizzanti e rigide e con queste le stanze a sé per momenti di
eccessivi e spesso prolungati esilii di alunni ed alunne in difficoltà e/o socialmente svantaggiati.
Del resto ancor oggi la ricreazione suona alla stessa ora nelle 19 regioni italiane e la scansione
oraria segna il ritmo del tempo a dispetto di tutti gli orologi solari che alunni ed alunne hanno
studiato e progettato e a dispetto della naturalità dei ritmi biologici. Alla cosichiamata “resilienza”,
termine a me molto inviso, la scuola ha sempre risposto con una parte di limite roccioso di
irriformabilità.
Questo limite, questa muraglia è stata spesso oggetto di analisi e di studio tra noi ed Andrea tanto
da spingere Andrea a riflessioni estreme sugli universi concentrazionari per capire come la
memoria offesa dei campi di concentramento possa essa stessa divenire forza di resistenza, di re-
esistenza.
Andrea ha offerto al Movimento un aiuto costante.
Nel 1992, ero in Segreteria nazionale ed avevo l’esonero da scuola. A dicembre avremmo
celebrato il convegno nazionale di Siena che avrebbe dovuto segnare una svolta ed un rilancio del
Movimento: “Dalla pedagogia popolare nasce un progetto educativo per una società interculturale
e multietnica”.
Non saprei ricontare le ore che spendemmo per fabbricare questo titolo. So che erano arrivati
anche se non in forma massiccia, i primi alunni stranieri e ci stavamo preparando ad una crescita
del fenomeno migratorio e ci eravamo seriamente posti il problema di come conciliare il concetto
di “popolare” con altre culture. L’allora segretario Natale Scolaro (morto molto giovane), tuonava
che ci saremmo giocati, in quel convegno tutto il nostro lustro pedagogico. A me venne affidata la
relazione di apertura ma anche una parte del coordinamento dei relatori, cosa da far tremare le
vene ed i polsi. Poi mi disse che l’intero impianto andava mostrato ad Andrea che era nel Comitato
scientifico assieme a Fiorenzo Alfieri, Paola Falteri ed altri. Ottenemmo il patrocinio del Presidente
del Senato, allora Spadolini. Mi pare fosse settembre del ’92, Andrea ci dette un appuntamento a
Bologna. Ero molto ansiosa, come andare ad un esame. Cercai di tranquillizzarmi pensando che
avrei lasciato parlare Natale. In realtà Andrea ci venne incontro con un sorriso così conciliante che
mi sparirono tutte le paure, andammo a prendere qualcosa ad un bar e lì discutemmo un’oretta,
Andrea ci rassicurò molto e si sarebbe incaricato, se non ricordo male, di fare alcune telefonate. Fu
un incontro come pochi, anche gli ostacoli più rilevanti sembrarono rimpicciolirsi. Nei mesi
successivi misi insieme, limandolo mille volte lo scritto e battendolo in un mac 128k poco più
grande del formato cartolina. Andai da Luisa Tosi, una capostipite della scuola trevigiana, con mac
a seguito e le chiesi se potesse andar bene quanto scritto, mi rispose laconica , come era Luisa:
“Dignitoso”. Perché, non crediate, ma anche dentro il MCE gli esami non finivano mai ! Fu così che
affrontai Siena con lo spirito aleggiante dei due angeli custodi (Andrea e Luisa) anche se nulla mi
impedì dopo la relazione di sciogliermi in bagno in un buon pianto liberatorio. La figura di Andrea
era stata tuttavia, una sorta di talismano a cui ricorrevo quando la difficoltà mi pareva
insormontabile, perché il carattere di Andrea era così, e per prima cosa ti chiedeva come stavi non
dimenticando nulla dei racconti passati e di chi eri.
Il pacioso parlare di Andrea non ci può far ingannare sulla seconda rivoluzione dell’innovazione
pedagogica, quella che parte dalla diversità. Se Tamagnini, Legatti, Nora Giacobini, Lodi, Rodari,
Tonucci e molti altri, sono stati gli esploratori della prima ora , non possiamo disgiungere il
secondo passo di cui Andrea Canevaro è stato artefice seminando in Italia e nel mondo principi e

riflessioni psicopedagogiche che hanno consentito di dire: “C’è speranza se questo è successo in
Italia nella scuola, nelle cooperative, ad opera di un uomo discreto instancabile e profondamente
umano tanto da fare dell’umanità la scienza dell’inclusione ”

Maria Teresa Roda


Gli abbiamo voluto il bene che ci ha voluto: grande.
Memi Campana


Che strano il mondo senza di lui
Pensando ad Andrea Canevaro


Ho conosciuto Andrea alla fine degli anni ottanta. Le sue lezioni erano animate, attive, imprevedibili. C’erano spesso ospiti a raccontare le loro esperienze, incontri improvvisati, perché se qualcuno lo veniva a trovare lui condivideva la visita con tutti noi. Spesso guardavamo dei film e poi ne discutevamo. Io imparavo senza accorgermi che stavo imparando.
Imparavo un modo diverso di guardare e di pensare alle cose.
Nel 1990 nacque il movimento studentesco La pantera. A Bologna, nella facoltà di pedagogia, i prof non ci dettero nemmeno il tempo di organizzare un’occupazione, ci proposero un’aula da gestire completamente. Nacque così l’aula Mandela. Era un luogo di studio e di incontro frequentato da studenti e docenti. Facevamo la rassegna stampa, organizzavamo seminari autogestiti, cercavamo di capire il mondo.

A marzo di quell’anno morì suicida Bruno Bettelheim, noi leggemmo alcuni articoli sui quotidiani, ma non sapevamo chi fosse, allora chiedemmo ad Andrea Canevaro di parlarci di lui. Andrea ci propose di leggere insieme qualcosa, perché questo era il suo modo di insegnare: mai in cattedra. (Pretendeva che con lui si usasse il tu, e se usavamo il lei cominciava a guardarsi intorno chiedendo: “lei chi?”)
Così che decidemmo la data per incontrarci e cominciare a leggere qualcosa di Bettelheim. Eravamo sette o otto studenti. Alla mattina del giorno stabilito incontrai Andrea che mi chiese se per favore potevo passare in una libreria di via Zamboni a ritirare dei libri che aveva ordinato. Quando gli portai il sacchetto, pesantissimo, della libreria, scoprii che c’erano una decina di copie de “il cuore vigile”, di Bruno Bettelheim. Una copia per ognuno di noi.
Questo era Andrea.
Cominciammo a leggere. Quel giorno prese vita “il gruppo Bettelheim”. Con quel gruppo di studio andammo avanti otto anni, fino al 1998, tutti i martedì pomeriggio. Eravamo una decina di studenti con due docenti, Andrea Canevaro e Arrigo Chieregatti. Con quel gruppo organizzammo due convegni, a Casalecchio di Reno, in occasione degli anniversari della tragedia dell’aereo che si era abbattuto su una scuola, il Salvemini, uccidendo 12 alunni, 11 ragazze e un ragazzo. Organizzammo dei corsi di formazione, e da quel gruppo nacquero molte tesi di laurea, tra cui la mia, che avevano come tematica le situazioni estreme, su cui nel tempo si erano concentrate le nostre letture e i nostri studi.
Ho tanti ricordi legati ad Andrea, la mia storia professionale è intrecciata a lui, l’handicap, la scuola, il mce; con lui ho avuto un’amicizia profonda, che non si è mai interrotta. Di tutte le tappe importanti della mia vita: laurea, esperienze professionali, matrimonio, divorzio, lutti…io conservo ricordi, lettere, parole, sguardi, che sono stati mattoni della mia formazione umana e professionale. Tanto di quella che oggi sono, quello che penso, come guardo e come
lavoro, viene da lui.
Eppure è difficile dire cosa ho imparato da Andrea
È difficile perché da lui imparavi senza rendertene conto. Però a un certo punto mi sono accorta che facevo delle cose che mi aveva insegnato lui. Con la Ioia, la mia amica e compagna di università, abbiamo soprannominato queste cose le “canevarate”. Ecco, io a un certo punto mi sono accorta che facevo delle “canevarate”!
Le canevarate sono per lo più delle azioni che mettono assieme. Mettere assieme è forse la più grande lezione di Andrea. Tenere dentro, in un unico quadro, tutto, anche quello che arriva all’ultimo minuto e sembra fuori posto. Tenerlo e organizzarlo, non come qualcosa di posticcio, accatastato sopra ad altro, ma come elemento organizzato, con un ruolo preciso e chiaro. Questo insegnava Andrea. Da lui ho imparato inoltre a diffidare del vittimismo, che
spesso è violento. Ho imparato che l’ironia aiuta, (il gruppo Bettelheim cominciava sempre con alcune barzellette), ho imparato che è meglio dire noi piuttosto che io, ho imparato che bisogna stare nelle cose, sporcarsi le mani, anche quando le cose non sono proprio come vorremmo.
Oggi quando ho appreso della sua morte ho scritto un messaggio alla mia amica Ioia, le ho scritto: “Andrea ci ha lasciato”, e lei mi ha risposto: “ci ha lasciato molto”. E poi ha aggiunto: che strano il mondo senza di lui!

Cristina Contri


Quanto ci manca

Andrea, quanto ci manca da subito la tua pacata maniera di affrontare problemi apparentemente insormontabili, la tua partecipazione convinta alle sofferenze e alle avversità delle storie personal
Non avremo più il conforto, i suggerimenti, i consigli che immancabilmente facevi pervenire attraverso i più diversi canali.
Sei la nostra storia, la storia di chi, entrato nella scuola e nella vita attiva a vent’anni, ha trovato la strada cosparsa dei tuoi sassolini. Accuratamente disseminati, perché la pedagogia istituzionale non dà soluzioni preconfezionate ma spinge ad andare passo passo verso una propria strada.
Ci hai affascinato con la proposta dello sfondo integratore, ammaliato con la monografia, ci hai indicato la ricerca di parole sporgenti perché ognuno/a trovi echi e risonanze profonde nelle proposte culturali.
Ci siamo avvalsi delle tue metafore, di una lettura di fiabe filastrocche e storie per ‘leggere’ e comprendere i nostri ragazzi con profonda partecipazione ed empatia.
Eravamo ‘anatroccoli’ (magari non tanto brutti…) e ci hai dato ali per volare e per spaziare nella profondità di proposte che dessero significato e dignità a tutte le attività e a tutti e tutte.
La sfida dell’integrazione: quanto cammino, quanta fatica, quanta pazienza hai saputo esercitare per convincere. Ed è grazie a te che nel tempo abbiamo via via potuto correggere distorsioni, deviazioni, ingiustizie, attenuare se non impedire gli effetti delle etichette e delle sempre nuove emarginazioni possibili.
Ci hai lasciato il messaggio, milaniano, che l’inclusione, la ‘socializzazione’, richiedono l’impegno di tutti, la risposta collettiva, del sociale, appunto, non le facili ricette di una pedagogia dell’emendamento.

Giancarlo Cavinato


Come lievito nella pasta.  

Di Andrea ricordo la sua paziente voce, lo sguardo attento; ricordo il colloquio in cui, tra mille cose  che aveva da fare, trovò il tempo dell’ascolto, un’attenzione concentrata su quello che gli stavo dicendo, proprio su di me, tutta per me. Ricordo di esserne uscito con il consiglio di leggere due libri :  Il lupo della Steppa e Narciso e Boccadoro di Hermann Hesse . Rimasi stupito, non erano libri di  pedagogia o altro…ma con la fiducia che avevo in lui, andai in libreria … e durante l’estate li lessi avidamente. Non li più dimenticati. Andrea allargava gli orizzonti. 

Non finirò di ringraziarlo per avermi stupito quando, timidamente gli chiedemmo una prefazione per  un modesto libro che io e Paola avevamo scritto, sulla necessità e importanza del tempo libero, non  strutturato, per crescere bambini e bambine. E lui, sempre in contatto con le persone, pur preso da  tanti impegni, il tempo libero per noi lo trovò.

Lo ricordo all’assemblea del Mce a Firenze quando ci invitava ad essere fiduciosi e positivi attivi e  presenti nella scuola e nel sociale, anche in momenti difficili, anche se in minoranza.  lo voglio ricordare con le parole del suo ultimo augurio, quello che ci fece per il nostro 70°  compleanno, quando ci invitò a essere come lievito nella pasta. Basta poco lievito per far lievitare  tanta pasta. E’ un’impresa non facile : l’insegnante-educatore, quando incontra un gruppo di  persone (bambine-bambini, donne e uomini) non si proponga di trasmettere loro il sapere,  supponendo di sapere già tutto, ma si ponga nella posizione di avere una curiosità sana per  conoscere quello che loro sanno. Faccia in modo di unire quel che ascolta a ciò che egli già sa, e si  proponga di creare un gruppo che permetta la circolazione delle conoscenze: le tenga aperte e abbia  voglia di conoscere ancora. Mettere insieme quello che già conosciamo con quello che ancora non  conosciamo crea un Movimento molto educativo tra le persone. Questo è il Mce, auguri per altri 70  anni. 

Domenico Canciani


ANDREA CANEVARO CI HA LASCIATO 

Questa notte è morto Andrea Canevaro, il più sensibile, attento e intelligente promotore dell’integrazione delle  ragazze e ragazzi con disabilità nella scuola e nella società. Andrea ha accompagnato fattivamente nel concreto innumerevoli percorsi e processi volti a una reale  inclusione, capace di dare dignità a tutte e tutti. 

Ha scritto testi fondamentali, ha insegnato a  generazioni di docenti, ha dato un grande contributo a  una trasformazione culturale di cruciale importanza. L’apertura delle scuole ai bambini e ragazzi con  disabilità non sarebbe stata possibile senza l’apporto di quanti, insieme a lui, si sono spesi in  questa trasformazione culturale di vasta portata. 

Andrea era un amico a cui eravamo particolarmente legati, con il quale negli ultimi anni abbiamo  avuto numerose occasioni di confronto e di scambio.  Era sempre una grande ricchezza ascoltare la sua voce pacata che sapeva andare a fondo  nell’affrontare questioni vitali, non accontentandosi mai. La sua capacità di ricercare e di spingere chi lo incontrava ad approfondire le questioni legando  inscindibilmente pratica e teoria ci mancherà enormemente. 

Grazie Andrea per tutto ciò che hai saputo darci e per ciò che hai fatto per chi è più fragile e ha  bisogno di quell’ascolto attento di cui eri maestro. 

Franco Lorenzoni e Roberta Passoni


Se ne sono andati…. 

Ricordo in questo triste momento quella volta che eravamo tutti a Modena per commemorare e  ricordare lì ispettore ed amico Sergio Neri: il primo ad andarsene troppo presto dopo una malattia  che gli aveva interrotto la sua generosa dedizione alla scuola.  

Era presente ad offrire insieme a noi un omaggio di ricordi affettuosi Giancarlo Cerini : anche lui  amante della scuola dei piccoli. 

Giancarlo è mancato da poco più di un anno, lasciando un vuoto incolmabile. Non abbiamo ancora  elaborato il suo lutto. 

C’era pure Andrea Canevaro: commosso mentre ricordava Sergio.

Ora se n’è andato anche Andrea.  

L’ho visto l’ultima volta per i 70 anni del Movimento di Cooperazione educativa: ero insieme a lui tra  i testimoni privilegiati e l’ho sentito recentemente per sollecitargli un ricordo di Giancarlo per la  Rivista dell’Istruzione. 

Rammento che a ricordare Sergio eravamo in un’aula scolastica : uno spazio della Scuola militante  come SFONDO INTEGRATORE. 

Quella scuola che amavate tanto, carissimi compagni di viaggio. Voi a tirare la volata ed io a seguirvi  . Ho imparato tanto da voi. 

Grazie a tutti e tre. 

Spero tanto che il vostro “dono” prezioso sia fermentativo per tutti. 

Cinzia Mion


Il punto rosso del gabbiano pescatore

Texto, Carta

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Caro Andrea,

ti scrivo proprio ora che ci hai lasciato. In realtà io non penso che tu non ci abbia veramente lasciato, perché ci hai lasciato così tanti elementi su continuare a imparare, esplorare e condividere che continui a rimanere con noi. Il tesoro di esempi, parole, idee, illuminazioni e riflessioni che ci hai lasciato verrà custodito e portato avanti da noi. Noi che ti abbiamo conosciuto nelle aule universitarie, negli appuntamenti collettivi per la stesura della tesi, negli angoli di via Zamboni, nei convegni, nelle aule, nei tuoi scritti, negli anfratti delle nostre menti assetate di conoscere il mondo dell’educazione… Anche chi ti ha solo letto o ascoltato ha capito il valore del tuo essere ed operare. La particolarità, la potenza e la coerenza con cui hai portato avanti il tuo mandato di educatore è talmente evidente che dal primo istante chiunque non può non notare. È un segno inconfondibile come un punto rosso, come il punto rosso sul becco giallo del gabbiano pescatore; che diventa un segno indelebile che lasci.

La cura con cui ti sei rivolto alle persone (e all’umanità) rimane l’eredità più importante che ti rende presente anche quando non ci sei. Quello che ho imparato con te, insieme a te, è talmente radicato in me che è diventato un modo di essere, non solo di operare e pensare. Quel modo di essere che ho acquisito con te mi accompagna nella vita professionale e ovviamente personale: “Il Dato e la Variabile” … Quello sguardo, quel modo di cercare di decifrare la realtà e di dar un senso alla complessità davanti a noi è l’insegnamento più grande che un maestro (o maestra!) può fornire a chi sta accompagnando, in qualunque momento della sua fase di crescita. Rifletto su come fa la differenza aver incontrato un buon maestro nella vita, una persona che sa cogliere il valore e l’unicità della persona, che è in grado di tessere trame che creano reti, le reti che a loro volta,

collegano e proteggono noi “equilibristi” durante le nostre cadute e scoperte, nella ricerca di senso nella vita. Ci hai fatto anche notare che nelle reti ci sono i nodi e che i nodi hanno una parte invisibile, fondamentale come la parte visibile, altrettanto bisognosa di attenzione.

Quella tua capacità di collegare, di restituire, di visualizzare attraverso aneddoti o letture ha reso il mio cammino ricco di stimoli, di questioni, di immagini e denso di interrogativi… e mi permette di non “lasciare la realtà che ci circonda così come è”. Rovistando tra i vecchi quaderni dell’università ho ritrovato un foglio dove tu, prendendoti il tempo e la cura mi scrivesti di tuo pugno, con la tua inconfondibile grafia, una breve citazione tratta da un saggio fondamentale per comprendere il pensiero visivo. Con quel piccolo gesto, non solo mi donasti un frammento di conoscenza, ma anche mi facesti sentire unica e importante, accolta e accompagnata: quel frammento lo avevi scritto proprio a me e per me. Dalla necessità di esprimere e manifestare l’Io, ci hai continuamente ricordato quanto è fondamentale il Noi, “il Noi è più importante dell’Io” hai ribadito mesi fa durante il Convegno sull’Inclusione: “Se ho speranza è nel noi”. Dai dialoghi con te si sono generati tanti Noi che, mi auguro, insieme, continueranno a tessere altre trame di senso e altre “reti” di possibilità. Insomma, Andrea, ci hai lasciato così tante cose che non te ne andrai mai! Ciao Andrea. Grazie.

Tua Marilena