Dopo la legge 79/2022 sulla formazione iniziale per gli insegnanti della scuola secondaria (percorso
di professionalizzazione diluito nei 5 anni di laurea disciplinare), la formazione in servizio
(schiacciata su una dimensione a scelta individuale), l’istituzione della Scuola di Alta formazione
(ennesima struttura verticistica), la bozza di decreto aiuti bis, al capo VI art. 39, introduce l’assegno
ad personam per gli insegnanti che effettueranno tre percorsi di formazione in servizio, ognuno di
durata triennale.
Dopo 9 anni di formazione in solitaria, gli insegnanti che “conseguiranno una valutazione positiva
nel superamento dei tre percorsi formativi non sovrapponibili”, diventati docenti esperti, saranno
retribuiti con 5.650 euro (che, a partire dal 2032, verranno sommati al trattamento stipendiale).
Non potranno accedere allo status di docente esperto più di 8000 insegnanti per anno scolastico dal
2032 al 2036. E, il decreto chiarisce, che essere docente esperto “non comporta nuove o diverse
funzioni oltre a quelle dell’insegnamento”.
Ma che profilo professionale avrà questo docente esperto?
Sarà un insegnante formato in solitudine, che non si è sperimentato nel proprio team, collegio; che
sarà inserito in percorsi che non hanno a che fare con i bisogni specifici delle scuola in cui opera; che
non terranno conto dell’esperienza sul campo: la classe, la scuola, il team, il collegio che sono i luoghi
dove la professionalità si esprime, si interroga, riflette per dare risposte al lavoro quotidiano; che non
avrà imparato ad utilizzare il gruppo di colleghi come strumento di lavoro, a progettare insieme e
formarsi, attraverso un apprendimento situato, alle dinamiche che caratterizzano la professione e la
collegialità; che molto probabilmente avrà seguito percorsi organizzati con la fruizione personale di
lezioni e interventi unidirezionali di formatori, e se ha tentato forme di integrazione teoria-pratica lo
ha fatto senza uno sguardo intersoggettivo con i suoi colleghi.
Pensare che un docente diventi esperto così significa non tener conto che il sapere professionale (da
intendersi come insieme unitario in cui interagiscono conoscenze personali, teorie di riferimento,
competenze operative, modi di essere e capacità) evolve soprattutto se si mobilita la riflessione sulle
pratiche e a partire da un bisogno. Le domande che l’insegnante si pone, nascono sicuramente in
merito alla sua personale esperienza professionale, ma vanno contestualizzate in un gruppo di lavoro,
nell’appartenenza ad una comunità di pratiche.
Fondamentali allora sono la dimensione e la scelta collegiale della formazione, perché l’impegno
culturale, didattico, organizzativo è parte integrante di una professione che si esprime nella
collegialità, nella responsabilità diffusa, nel lavoro cooperativo, anche a livello delle discipline nei
dipartimenti disciplinari; che si struttura per la realizzazione del PTOF e del Piano di Miglioramento,
mobilitando dispositivi orizzontali di scambio, contaminazione e partecipazione attraverso percorsi
di ricerca-azione che possano rendere ogni istituto un centro di ricerca – un ambiente integrato di
apprendimento e una struttura di supporto e di stimolo alla formazione continua di ogni insegnante.
Non singoli esperti ma luoghi di formazione
La scuola non ha bisogno di pochi insegnanti esperti, e non possono essere applicati alla scuola i
criteri meritocratici di un’azienda, introducendo un assegno ad personam assimilabile di fatto al
premio di produzione.
Prevedere un assegno personale a quanti seguono una formazione opzionale, non solo non è utile, ma
fortemente rischioso perché legittima di fatto i comportamenti di chi si sente autorizzato a non seguire
mai percorsi di formazione, crea competizione e conflitto in un ambiente che dovrebbe invece
lavorare sulla cooperazione, la crescita collettiva, la competenza professionale diffusa.
La scuola ha bisogno di luoghi di formazione capaci di trasformare ogni istituto scolastico in un centro
per lo sviluppo professionale e ogni collegio in un gruppo di apprendimento.
Tra l’altro i contenuti dei percorsi formativi previsti dalla Legge 79/2022 e che qualificheranno il
docente esperto (aggiornamento delle competenze pedagogiche, metodologiche e tecnologie
didattiche; contributo al miglioramento dell’offerta formativa; l’inclusione scolastica; continuità e
strategie di orientamento formativo e lavorativo; potenziamento delle competenze in ordine alla
valutazione degli alunni) non possono essere concepiti come patrimonio di alcuni, ma devono poter
diventare l’espressione di ogni collegio dei docenti.
Il diritto all’apprendimento non può essere un privilegio
Con queste previsioni normative la formazione dell’insegnante continuerà a rappresentare un
elemento di disuguaglianza nella garanzia del diritto all’apprendimento (a partire dall’a.s. 2032, le
famiglie avranno piene ragioni nel rivendicare l’inserimento del proprio figlio nella classe assegnata
al docente esperto), che si aggiunge a quelli strutturali della scuola e delle politiche scolastiche.
Più che assegni ad personam, per una scuola per tutti e tutte, vanno invece costruite più qualificate
condizioni salariali e di organizzazione del lavoro, per facilitare la partecipazione ai percorsi
formativi poiché l’impegno nella formazione continua e obbligatoria deve essere concepito come
parte del profilo professionale dell’insegnante e non un accessorio, lasciato alla libera scelta (tra
l’altro in vista di un compenso).
Che vantaggio ne trae una scuola ad avere un insegnante per così dire esperto, se il resto del corpo
docente non è coinvolto in processi di formazione continua, ricerca; se per tutti gli insegnanti gli
istituti contrattuali restano inadeguati e il salario mortificante; se non si immagina una progressione
di carriera legata a nuove figure che possano presidiare in modo competente alcuni nodi strategici
della complessità del fare scuola (progettazione formativa, progettazione didattica e valutazione,
interculturalità, documentazione delle esperienze, rapporti con il territorio, per citarne alcuni); se non
si supera la condizione di tanti insegnanti con valigia?
DENUNCIAMO
l’inadeguatezza delle azioni del governo Draghi, del ministero dell’istruzione Bianchi, dei politici di
questo Parlamento i cui interventi per la Scuola in attuazione del PNRR usano l’ideologia
dell’emergenza come testa di ariete di un fare politico profondamente autoritario, verticistico,
regressivo, ma soprattutto privo di un progetto organico sulla scuola e sul suo futuro.
Se, è questo è bene sottolinearlo, la scuola che si vuole è quella democratica e inclusiva sancita dalla
Costituzione.
A queste azioni di attacco alla scuola pubblica il Movimento di Cooperazione Educativa opporrà ogni
resistenza insieme agli insegnanti della scuola italiana, ormai esperti nel portare avanti la scuola,
nonostante essa continui a restare ostaggio di continue riforme e di politiche scolastiche incoerenti,
miopi, distruttive.
Segreteria del Movimento di Cooperazione Educativa