Quale riapertura della scuola?

Tra Protocollo sicurezza e Linee guida per la DDI

di Anna D’Auria  

Un inizio di agosto produttivo per il Ministero dell’Istruzione che ha emanato due documenti fondamentali e attesissimi per la riapertura della scuola a settembre: il protocollo sicurezza e le linee guida per la didattica digitale integrata. Si è finalmente fatta un po’ di chiarezza su quello che si dovranno aspettare bambini/studenti, personale della scuola, famiglie quando finalmente riaprirà il portone della scuola. Anche se restano tra alcune fioche luci ancora molte ombre. 

PROTOCOLLO SICUREZZA PER IL CONTENIMENTO DELLA DIFFUSIONE DI COVID 19 

Il protocollo d’intesa, firmato il 6 agosto dai sindacati Cgil, Cisl, UIL, Snals, Anief, ANP, dà indicazioni su come ogni singolo istituto dovrà gestire la sicurezza sanitaria 

A tal fine prevede l’introduzione di nuovi dispositivi: il Tavolo interministeriale permanente (Istruzione e Salute) per monitorare la situazione sanitaria, in raccordo con equivalenti tavoli previsti a livello degli Uffici Scolastici Regionali;  per le scuole l’help desk, l’individuazione del medico competente e di un’apposita figura per i necessari contatti con i servizi sanitari della ASL, la formazione per il personale, un nuovo Patto di corresponsabilità educativa, l’eventuale costituzione di una commissione interna presieduta dal Dirigente  per il contrasto alla diffusione del Covid-19.

Vengono poi stabilite le procedure che regolamentano: entrata e uscita, modalità di ingresso e di movimentazione all’interno dell’edificio (l’ingresso dei visitatori ridotto e su prenotazione), gestione della mensa in orari differiti o in aula, sanificazione degli ambienti, come affrontare situazioni che potrebbero rappresentare un rischio per la comunità scolastica (con sintomi influenzali e febbre a scuola è previsto l’isolamento). Il protocollo prevede altresì test diagnostici volontari per tutto il personale e a campione per gli studenti, la copertura delle spese dei Comuni per l’affitto di locali qualora gli ambienti scolastici non bastassero a coprire il fabbisogno di aule nel rispetto delle misure di distanziamento. Nelle disposizioni finali gli impegni importanti assunti dal MI: il superamento dei vincoli normativi per la sostituzione del personale scolastico, l’approfondimento della situazione del personale in condizioni di fragilità, ma soprattutto l’impegno del Ministero per il  superamento delle classi pollaio destinando, in un prossimo futuro, più risorse alla Scuola. 

Il MCE si associa, dunque, al giudizio positivo espresso sul Protocollo dai sindacati. Restano tuttavia alcuni dubbi sulla previsione del supporto psicologico per personale e studenti “per fare fronte a situazioni di insicurezza, stress, timore di contagio, difficoltà di concentrazione, situazione di isolamento vissuta”.

La previsione di “azioni di supporto psicologico in grado di gestire sportelli di ascolto” per sostenere insegnanti, genitori, bambini e studenti sicuramente   può rappresentare in alcune situazioni un aiuto significativo per affrontare difficoltà, smarrimento, stress che alcuni soggetti potranno incontrare nell’adattarsi al nuovo modo di stare a scuola, convivere con la paura che l’emergenza sanitaria possa ripresentarsi nelle forme gravi ed elaborare in modo resiliente quanto è già successo. Non è invece convincente un’azione di supporto psicologico anche per “coadiuvare le attività del personale scolastico nella applicazione di metodologie didattiche innovative (in presenza e a distanza) e nella gestione degli alunni con disabilità e di quelli con DSA o con disturbi evolutivi specifici o altri bisogni educativi speciali, per i quali non sono previsti insegnanti specializzati di sostegno”. 

Il rischio è che tale previsione possa in qualche modo indurre a rintracciare “comportamenti problema“,  sintomi, dis-funzioni  più che concentrarsi sulla mobilitazione di risorse, potenzialità, capacità dei soggetti (bambini/studenti, insegnanti, genitori) e sulla costruzione della qualità della relazione educativa.  Con l’effetto di marginalizzare il compito dell’insegnante e dell’intera comunità scolastica nel sostenere i soggetti, riconoscerne la domanda, predisporre modi, tempi, spazi e organizzare le proposte didattiche adeguandole di volta in volta ai bisogni specifici di ognuna/o, del gruppo, della comunità.  E per questo non serve la psicologia, ma più pedagogia e più didattica. 

LINEE GUIDA SULLA DIDATTICA DIGITALE INTEGRATA

Il 7 agosto  Il Ministero ha pubblicato, dopo il parere (non positivo) del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, le Linee guida sulla didattica digitale integrata, previste dal decreto ministeriale 26 giugno 2020, n. 39.

Le Linee dovrebbero orientare le scuole nella predisposizione del Piano per la didattica digitale integrata (DDI) che sarà parte integrante del PTOF già a partire da settembre nella scuola secondaria di secondo grado. Per la scuola dell’infanzia, primaria e media il Piano va invece predisposto solo in caso di nuovo lockdown o di eventuali necessità di contenimento del contagio.

In questo documento più ombre che luci a partire dalla sua premessa. 

La didattica digitale integrata viene intesa come una “metodologia innovativa di insegnamento-apprendimento” che integra “la tradizionale esperienza di scuola in presenza”. 

É come dire che l’innovazione sta alla distanza come la tradizione sta alla presenza.  Un’equazione scientificamente e pedagogicamente non giustificata e quindi infondata. 

A rendere tradizionale una didattica, sia in presenza che a distanza, è una concezione “bancaria” dell’apprendimento inteso come accumulo di contenuti, centrata sul solo lavoro individuale, sulla separazione tra il fare e il pensare, tra le teorie e le prassi, per niente attenta ai ritmi, tempi, modalità di apprendimento di ogni singolo soggetto, alle sue intelligenze, pre-conoscenze, lingue, storie, al ruolo del gruppo, della cooperazione educativa…  

Pertanto, è riduttivo pensare che il solo ricorso ad una strumentazione tecnologica (e alle distanze che essa permette), rende di per sé innovativa la didattica. Così come ritenere che “La lezione in videoconferenza agevola il ricorso a metodologie didattiche più centrate sul protagonismo degli alunni” e, come riportato nel paragrafo sulle metodologie e strumenti per la verifica, che: “consente di capovolgere la struttura della lezione, da momento di semplice trasmissione dei contenuti ad agorà di confronto…”. 

La Società Italiana di Ricerca Didattica (SIRD) ha condotto una ricerca nazionale per avviare un confronto sulle modalità di didattica a distanza adottate dalle scuole e dai singoli insegnanti nel periodo di sospensione dell’attività didattica dovuta all’emergenza Covid-19. Dai dati del questionario somministrato a più di 16.000 insegnanti, dislocati in 1834 Comuni e a copertura dell’intero territorio nazionale, emerge che “La didattica a distanza non ha favorito strategie didattiche diverse da quelle tradizionali. Le maggiori difficoltà in questo senso sono ricadute sulla scuola dell’infanzia e sulla primaria che tradizionalmente sono più attive della scuola secondaria”. 

Ora, se la DaD ha visto incrementato il ricorso a didattiche trasmissive, come emerge da questa ricerca, non è soltanto per la mancanza di formazione dei docenti all’uso delle didattiche digitali, per quanto questo sia sicuramente significativo. Ma perché la DaD, anche se sufficientemente strutturata nei percorsi che propone, non può sostituire il ruolo che assume la relazione in presenza con l’insegnante, i pari e con gli ambienti (aula-laboratori-palestra…) e la scuola tutta, intesi come spazi “fisici” di socialità, partecipazione e democrazia. In una visione dell’apprendimento socio-costruttiva, multimodale, cooperativa, la “fisicità” dell’incontro è un elemento irrinunciabile per l’apprendimento. Questa è la ragione per la quale il Movimento di Cooperazione Educativa ritiene che la didattica a distanza debba restare solo una didattica dell’emergenza

Ciò non esclude che il rapporto tra didattica e possibilità offerte dalle nuove tecnologie vada esplorato, comprendendo e sperimentando le possibili integrazioni e utilizzando in modo sapiente le tecnologie che aggiungono valore alle didattiche attive e cooperative. Ma, se non si modifica l’approccio didattico-metodologico in presenza, non sarà la DDI a promuovere innovazione nella scuola.

Il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, chiamato ad esprimere un parere, ha ritenuto che “…di queste  Linee guida che propongono profonde modifiche strutturali, non sono evidenti quali siano i fondamenti culturali, normativi, pedagogici e metodologici“ e ha formulato alcune richieste di modifica che solo in parte sono state accolte. 

Il Ministero infatti non ha ritenuto di poter accogliere le richieste del CSPI, che il MCE condivide, di:

  • non prevedere “d’ufficio” la complementarietà della didattica a distanza nella scuola secondaria di secondo grado in quanto le scuole possono non prevederla nel caso riescano ad organizzare la riapertura con la didattica tutta in presenza;
  • dare chiarimenti su come le scuole dovrebbe definire “il bilanciamento tra attività sincrone e asincrone”;
  • spiegare se per complementarietà della DDI il Ministero intenda anche la possibilità di effettuare contemporaneamente per gruppi di apprendimento a distanza e in presenza le stesse attività. Ciò non sarebbe possibile nella misura in cui didattica in presenza e didattica a distanza non sono sovrapponibili; 
  • prevedere una piattaforma ministeriale per la didattica a distanza. 

Su quest’ultimo punto il MCE nei diversi documenti elaborati nella lunga fase di chiusura della scuola ha insistito sulla necessità di prevedere un’unica piattaforma per le scuole eliminando la dispersione che ha disorientato insegnanti, bambini/studenti e genitori durante il lockdown, consentendo una gestione adeguata dei dati sensibili di milioni di studenti e di insegnanti, e prevedendo la possibilità che la piattaforma usata dalle scuole possa essere adattabile ai percorsi di apprendimento previsti dalle nostre Indicazioni nazionali e ai bisogni specifici delle scuole.

Infine le Linee guida, indicano l’orario minimo delle lezioni in modalità sincrona, almeno: 15 h per il primo ciclo (10 per le classi prime della primaria), 20 per la secondaria; da 4 a 12 h per i diversi corsi dei CPIA. Previsione questa accettabile solo in caso di nuova chiusura delle scuole e per superare la grande diversificazione nell’organizzazione della DaD registrata nel primo lockdown. A questo monte ore possono essere aggiunte ulteriori ore per piccoli gruppi e per attività asincrone. Per la Scuola dell’Infanzia non é previsto un monte ore minimo di DDI, ma viene proposta una pluralità di modalità di contatto (videochiamata/videoconferenza), e la predisposizione di una sezione dedicata ad attività/esperienze sul sito di ogni scuola. Non accettabile è anche l’ipotesi di riduzione dell’unità oraria di lezione: un tempo ridotto favorirebbe solo il ricorso a didattiche trasmissive, frontali, non individualizzate.  

Di positivo nelle linee guida c’è il riferimento a modalità di progettazione didattica che prevedano l’accorpamento delle discipline (superando separazioni e steccati), così come la richiesta di monitoraggio costante per gli alunni in condizioni di fragilità, a qualsiasi condizioni essa sia riconducibile, con un esplicito riferimento agli studenti con cittadinanza non italiana neo-arrivati in Italia.  Ma questi elementi non bastano a delineare traiettorie per il rinnovamento di cui la scuola, la cultura del Paese hanno bisogno e per una riapertura che non sia un tornare al prima o al peggio di prima. 

Ancora una volta la differenza potranno farla gli insegnanti, i dirigenti, l’intera comunità scolastica nello scrivere il futuro prossimo della scuola.

Di una scuola dove, come ha detto un bambino di Cagliari, “la linea non cade mai”.