L’ASCOLTO PRENDE FORMA…

Ci ha lasciato  Ortensia Mele,  maestra attiva nel MCE, di cui è stata anche segretaria nazionale. Numerose sono state le sue piste di ricerca educativa ed ha contribuito in maniera sostanziale ad elaborare il laboratorio adulto come strumento essenziale di formazione. Nel laboratorio Ortensia ha introdotto l’arte pittorica e plastica, rendendola un elemento importante nel percorso di apprendimento in situazione.

Negli ultimi anni ha posto attenzione alle neuroscienze, a partire dal pensiero di Maturana e Varela, secondo i quali la cognizione non è un atto di mera rappresentazione, ma azione, movimento,  che riconfigura l’organizzazione interna del soggetto e la sua relazione con l’ambiente circostante.

Sostenitrice di una pedagogia popolare che rappresenta un valore solo se tende alla realizzazione delle condizioni e degli strumenti  che sono necessari a raggiungere gli scopi educativi e sociali dell’emancipazione, ha lottato affinché il laicismo diventasse il principio per garantire la libertà di pensiero, contrapponendosi concretamente al dogmatismo di qualsiasi tipo, che insieme alle disparità sociali genera povertà educativa ed esclusione.

Ortensia ha contribuito a mantenere una prospettiva di senso che contraddistingue ancora oggi le pratiche e i valori della cooperazione educativa. Il suo contributo evidenzia quanto sia essenziale, ancora oggi, operare per rendere concreta una pedagogia che possa dirsi democratica e popolare, attraverso il connubio irrinunciabile tra pedagogia e politica, che vede la scuola come una comunità che agisce per dare a ciascuno l’opportunità di realizzarsi pienamente.

L’identità del Movimento di Cooperazione Educativa deve molto ad Ortensia Mele; per questo tutti e tutte noi la ringraziamo per il suo prezioso esserci  e per aver aperto strade importanti da percorrere, ponendo la prima pietra.

Freinet ci aiuta dicendo: noi abbiamo posto la nostra pietra; sappiamo che essa aiuterà e guiderà coloro che verranno dopo di noi per continuare la strada.

Il MCE ha continuato le strade aperte da Ortensia. E continuerà a farlo.

Proprio nell’edizione Cantieri di quest’anno a Roma è stata ricordata nell’Esposizione
“Tessendo dentro e oltre il limite – voci, corpi e territori di Maestre romane”.

In memoria di Ortensia: pensieri e ricordi

Leggo oggi che è mancata un’altra maestra MCE: Ortensia Mele. Uso la parola maestra non per indicare il ruolo istituzionale ma per dire quanto ci ha lasciato e con quali saperi formativi e pedagogici ci ha messo in contatto. Altre ricchezze a cui molte di noi hanno potuto attingere.

Ero approdata da poco al Movimento, negli anni ’80. Già la politica ed il sindacato mi avevano lasciato dei lividi. Il Pdup-Manifesto si era sciolto. Rimaneva un giornale, fatto da grandi penne ma era pur sempre un giornale. Nel sindacato già si lottava per componenti. Dovevo ancorarmi al mio mestiere ed imparare a farlo acquisendo tutti gli arnesi possibili. Iniziai il periplo pedagogico labirintico e variegato. Tutti gli approcci possibili alla lettura ed al testo, altro che la buona dizione e le doppie, i non detti e le strutture grammaticali. Si presentò un mare aperto in cui navigare.

Noi dei gruppi MCE del nord eravamo più scolastici e considerati piuttosto ortodossi, figli delle tecniche di base del Freinet. Il gruppo romano ci appariva “sperimentale” dissonante, creativo, oltre le righe. Ma questa era la nostra ricchezza. Che fosse ricchezza non fu chiaro subito, anzi. A volte correvano sguardi di sottecchi e domande molto aperte.

Fosse come fosse, in un autunno dei primi anni ’80 un bel gruppetto di lingua si iscrisse ad un incontro nazionale che si teneva in Via Venezia, a quattro passi da Termini. Mi iscrissi al laboratorio di Ortensia Mele sulla lettura dell’immagine, che sarà mai provare un nuovo approccio e staccarmi un po’ dai testi familiari di Bepi Malfermoni, all’insegna della sperimentazioni da fare entrai nel piccolo gruppo. Ortensia ci mise in mano l’immagine fotocopia bianco/nero della Melencolia o Melancholia un’incisione a bulino di Albrecht Dürer; ci chiese di leggerla, interpretarla e comporre qualcosa di nostro raccogliendo gli elementi che ci sembravano decisivi. Poche parole e poi lì nella solitudine con questo angelo accerchiato da oggetti simbolo e tremendamente pensieroso. Mi dissi, ecco cosa si prova di fronte al foglio bianco, se poi non sai disegnare, ti senti proprio come l’angelo. Ci furono momenti pesanti come il masso, esaedro o altro che fosse. La tecnica del collage mi aiutò molto; l’orizzonte, la cometa, che non ostante tutto splendeva, il compasso che disegna e misura. Mi sfuggirono decine di particolari che poi, nella messa in comune Ortensia ci guidò a mettere a fuoco. Era un testo molto complesso, una simbologia codificata ma anche l’impatto di ciascuna di noi col tempo, con la solitudine, con la complessità del reale. Mi detergo la fronte e capisco molte cose. Nessuna mi avrebbe giudicata per la miseria del collage, il gruppo fece emergere una quantità di osservazioni che sola mai avrei sognato. Ortensia ci mise alla fine, in una situazione di apprendimento di gruppo completando il quadro. Sono passati quarant’anni e ricordo quest’esperienza per l’intensità che ha veicolato. Forse è stato il mio imprinting su cos’è il laboratorio adulto; cosa fosse il lavoro di gruppo lo sapevo già. Cosa si prova da adulti mettersi in gioco e vivere in prima persona la scommessa dell’apprendimento come evento collettivo e costruito assieme, è altra cosa. Come maestre e maestri non abbiamo più la spontaneità del primo cammino, abbiamo molte pre-conoscenze ma anche molti pre-giudizi. Difficilmente ci riconosciamo come “soggetti mediatori” del conoscere; è più facile darci per scontate/i ma quello che porgiamo passa attraverso di noi, del nostro corpo, della nostra voce, del ritmo del tempo che scandiamo noi. Su questo e su questo battesimo di Ortensia mi è venuto oggi da pensare, io che non sapevo disegnare, sapevo poco come muovermi con il corpo, ritmare dei passi eppure l’ho chiesto ad alunne ed alunni. Quale sarebbe la mia sicurezza personale se avessi incontrato maestre e maestri che me lo avessero insegnato? Nella sua silenziosa ed elegante presenza Ortensia mi ha insegnato queste domande. Ma da lei ho anche appreso altro. La pervicacia del salvataggio. Ogni tre per quattro questo Movimento navigava in cattive acque, faticava a riorganizzarsi, a dare ordine anche fisico alla mole dei materiali dell’archivio. Ortensia fu segretaria resistente che in via dei Piceni passò ore a dare un orizzonte, una fruibilità alla mole di libri e/o di stampe, spesso eccessive che producevamo. A rimettere in ordine i conti che non tornavano mai.

Formatrice instancabile con un occhio attento all’apertura del Movimento, tecniche si ma anche antropologia, psicanalisi, teatro, conoscenza degli autori classici, lettura di opere d’arte ; una maestra che non poneva limiti alla ricerca, una donna instancabile. E’ stata la costellazione di queste figure che ha fatto di noi, la generazione successiva degli insegnanti a tutto tondo disegnati col compasso dell’angelo della melancolia. Non esenti certo dai rischi depressivi. Grazie Ortensia. Ti ricordo come nelle foto che di te posseggo .

Maria Teresa Roda

RICORDO DI ORTENSIA
Molti stanno scrivendo su Ortensia in questo momento. Io voglio ricordare la su a energia, la sua ospitalità,la sua gentilezza e sensibilità, la sua cultura, la sua capacità di ascolto e dialogo, la sua progettualità che portava avanti con coerenza e determinazione.
Nel 1982 Ortensia è stata eletta segretaria nazionale MCE.
Per prima cosa decise che il movimento doveva avere una sede stabile in affitto, non poteva continuare a spostarsi in sedi provvisorie. La sede doveva essere nazionale, a Roma, per stabilire rapporti con le istituzioni, il Ministero della Pubblica Istruzione, l’associazionismo.
Nello stesso tempo introdusse nel movimento una forte attenzione all’autoimprenditorialità in apposite
giornate di studio. Una scelta non sempre condivisa in un movimento molto eterogeneo.
Rivisitò Freinet e le specificità del movimento di cooperazione (‘siamo il movimento che spiazza tutte le
linee’) alla luce dell’indispensabile incontro con le nuove ricerche sull’apprendimento, con le scienze
umane, la psicanalisi.
Negli anni del cognitivismo imperante la sua presa di distanza da una visione settoriale e tutta centrata su
apprendimenti formali non tenendo conto dell’unitarietà dei soggetti ha lasciato una traccia profonda. Spesso
in controtendenza rispetto alla cultura pedagogica dominante.
Abbiamo condiviso alcuni anni in segreteria nazionale, anni in cui io Domenico Canciani Ines Casanova
redigevamo il bollettino nella sede di Mestre e ci incontravamo periodicamente a Roma, anni in cui il nucleo
portante della ricerca MCE si svolgeva nei gruppi nazionali e confluiva nelle assemblee laboratorio di
Perugia. La sua riflessione sul laboratorio adulto, i suoi contributi all’organizzazione di convegni nazionali
restano imprescindibili per la nostra storia.
C’era una grande sintonia anche se a volte alcune proposte dei gruppi MCE sembravano non combaciare con
la sua prospettiva, ma il dialogo e il confronto hanno sempre prevalso.
Più volte, anche appoggiandosi al sociocostruttivismo e alle ricerche nelle neuroscienze, Ortensia ha invitato
il MCE ad esplicitare pubblicamente e a far rivalere le proprie posizioni in quanto rinforzate appunto da tali
elaborazioni. Rimproverava garbatamente il movimento di non essere sufficientemente assertivo e di non
rivendicare a sufficienza spazi di presenza e protagonismo nel panorama pedagogico italiano.
E poi siamo andati in vacanza assieme in Grecia e in Sicilia e molte perplessità si sono sciolte nella
condivisione di spazi di vita. Più volte siamo stati ospiti suoi e lei veniva da noi per visitare la Biennale di
Venezia. Nella tradizione di condivisione di momenti comunitari che è peculiare della pedagogia Freinet:
non solo maestri ed educatori ma compartecipi di progetti di vita.
Un piccolo episodio ci racconta molto più delle mie parole la personalità di Ortensia che aveva il problema,
nella sua casa di Roseto, di un ‘gattarrone’ abusivo che dava la caccia alle micette e saccheggiava la cucina.
In coerenza con il suo carattere, si poneva il problema di tutelare le micette ma senza danneggiare il
gattarrone. Un’ipotesi era di mettergli a disposizione delle polpette con una piccola dose di sonnifero. E,
addormentato, di traslocarlo altrove (ma quello riusciva regolarmente a ritornare).
Giancarlo Cavinato

“ Le nostre  briciole….. con Ortensia “

Wilma

Racconto di Ortensia, non la formatrice, seppure ricordo il suo coinvolgimento nel gruppo della scrittura a Cecina, con Antonio, Giuliana, Laura, a casa di Ely.

La ricordo professionale e “dotta” durante la formazione del sesto circolo di Lucca, dove io facevo la maestra di scuola materna.

Lei era una vera “maestra”, sempre preparata con i suoi scritti, la sua cartella, insieme al suo sorriso invitante, mai troppo esuberante, nemmeno dopo il bicchiere di buon vino che gustava volentieri.

La voglio ricordare invece come amica.

Un’amica che quando andavo a casa sua, in via Sant’Andrea a Lucca, non mancava di servirmi il caffè con il vassoio e non mancava di versare il caffè dalla moka nel bricco e non mancava di offrire un buon pasticcino.

Un’amica che quando la domenica veniva a pranzo non si scomponeva di fronte alle mie mancanze di stile.

Apprezzava invece tutto: il cibo, la compagnia, il parlare di politica e di cinema con Franco, le chiacchiere con mia madre. E tra loro c’era una sorta di vicendevole stima per cose diverse: mia madre, una vita operaia, madre, moglie; Ortensia, una vita per la ricerca, lo studio, le opere d’arte, l’arte in generale.

Entrambe con un senso del dovere molto alto, con la serietà di affrontare la vita senza dare nulla per scontato, con principi a cui attenersi.

Ortensia, con mio figlio Emiliano che chiamava per aggiustarle una TV che lei aveva mandato in tilt per aver premuto casualmente troppi tasti, così come negli ultimi tempi succedeva col computer.

Ortensia, con/tra le mie amiche: non mancava mai di pescare in loro delle qualità che esplicitava con grazia, con cura, per non eccedere e per non risultare sgradita.

Ortensia con me: le nostre domeniche pomeriggio ai concerti, un po’ di cinema, le mostre visitate.

Il suo sguardo era sempre, immancabilmente, un qualcosa in più. Era come se vedesse altro da ciò che potevi vedere tu.

Era un maggiorativo illuminante. Rimasi affascinata dalle sue spiegazioni del perché Santa Maria Novella non le piaceva.

 “Come?! Vengono da tutto il mondo per ammirarla, non ti piace? Perché?” Lei tendeva il collo e girava, inclinando, la testa: “Mmappercarità!!” esclamava. Come un affronto alla bellezza, allo stile gotico puro, il manierismo della terza fase del rinascimento, che disdegnava soprattutto nella pittura. Un’accozzaglia di stili, troppo ridondante.

Rimanemmo entrambe affascinate dalla mostra di Ai Wei Wei a Firenze e sconcertate invece da quella di Marina Abramovic, non mancammo di discuterne parecchio, e in quella giornata a Firenze ritenni di aver rischiato e averla fatta rischiare per troppo affaticamento, giacché camminammo un po’ troppo.

Lei era stoica, poiché alla domanda se volevamo prendere un taxi, la sua risposta era sempre negativa, ma poi la gamba era dolorante.

Io confidavo nella sua parte di energia e ci contagiavamo a vicenda di entusiasmi che ci portavano errabonde per giardini riposanti e città stancanti.

Spesso ci incontravamo per un caffè al bar, lei orzo, e ci facevamo lunghi racconti di lavoro, confrontandoci sui metodi, sui contenuti, sugli approcci, sui bimbi, sugli adulti. Altre volte i racconti erano relativi alle nostre amicizie, alla famiglia, alla casa.

Di cosa si parla fra amiche, insomma!

E le amiche si concedono pranzi insieme, tra loro, pranzi al Paskosky, a Firenze, dove fui invitata, pranzi nei migliori ristoranti lucchesi: alla Buca, agli Orti, all’Ulivo, al San Colombano, oltre a quelli domenicali a casa mia già raccontati, dove Ortensia veniva accompagnata da un vassoio di paste naturalmente della migliore pasticceria di Lucca.

Una volta ero quasi disperata perché portò una gran quantità di grosse meringhe e a nessuno di noi piacevano!

Eravamo affezionate, ci scambiavamo carezze, spesso sotto forma di parole, talvolta sotto braccio, più raramente effusioni, perché Ortensia andava rispettata nel suo quasi impercettibile distacco corporeo. Il suo volto e le sue mani parlavano per tutto il resto del corpo: gli occhi intensamente espressivi, il capello con l’onda, lo sguardo altero, ma non escludente, vivo, vivace, perspicace, radar.

E quella mano che metteva distanza e accompagnava il 

 “Mmappercarità!”

Ortensia, che mi ha regalato un anello, che ha donato una casa alla comunità di Sant’Egidio, Ortensia che ha regalato delle penne stilografiche a Franco e ai miei figli e ad Antonio ricordo un gilè e tanti doni ai suoi figli.

Ortensia che ha regalato un po’ a tutti: sorrisi, cultura, saperi.

Ortensia che ha CONDIVISO e non si è risparmiata.

Elisabetta

Di Ortensia vorrei ricordare di più perché lo stare insieme a lei era intrigante e stimolante. Di lei ricordo suoi capelli bianchissimi tagliati a caschetto che risaltavano sulla pelle abbronzata in ogni stagione per via del suo amato mare, il suo sorriso ironico che pareva creare una distanza per chi non la conosceva, ma che era un segno di esperienza e di saggezza, fino alla sua eleganza con la quale intesseva relazioni e pensieri.

Da alcune sue lettere degli anni 1990 / 2000:

Sul bisogno di sicurezza

  • Sembra che la miracolosa abilità dei gatti di spiccare da fermi balzi così elevati per approdare in spazi esigui e costretti dipenda dalla loro capacità di vedersi proiettati esattamente in quel punto, in una sorta di preliminare momento progettuale del salto. Noi umani non siamo così bravi, almeno non tutti lo sono e non sempre. E allora se c’è qualcuno che ti dice:”Ma guarda che sei già lì dove vorresti salire” allora tutto si scioglie e quello che sembrava pericoloso ed impossibile appare improvvisamente naturale ed armonioso. Almeno fino all’urgenza del prossimo salto.-

Esperienza di un laboratorio

  •  Ho fatto due giorni di. Laboratorio con cinquanta persone su la lettura e le immagini profonde- Questa nuova esperienza mi ha dato conferma che l’impostazione è giusta ed offre una ricchissima possibilità di sviluppo, ché debbo ancora elaborare più puntualmente le fasi del lavoro ed affinare la sensibilità di conduzione. E tuttavia questa migliore elaborazione si rende possibile se si moltiplicano le occasioni di proporre ad altri questa esperienza.

Flessibilità

  • Mia cara i gabbiani non sono soltanto quei puri abitatori degli spazi marini, padroni delle tempeste e dei tramonti. Essi sopravvivono e prosperano in questa nostra epoca così improvvida per tante altre specie perché posseggono un’altra capacità: quella di nutrirsi nelle discariche. Questa questa flessibilità è la loro forza. Che cosa ci insegnano i gabbiani?

Sul laboratorio M.C.E.

  • Mi sono fatta l’opinione che proprio la peculiarità proposta dal lavoro che si fa nei laboratori adulti del M.C.E. e: cioè la ricerca che fa tutt’uno con la vita, porti così tanti gruppi verso l’asfissia e l’auto annientamento. La vita di fatti è intrinsecamente movimento e cambiamento. Se un gruppo invece vuole restare uguale a se stesso, se rifiuta di trasformarsi e di trascendersi inevitabilmente cade in agonia funzionando da palla al piede per chi ha ancora dentro di sé spinte vitali. E così gli alberi, i fiori, i prati, gli animali, tutto funziona secondo questo processo, dove la morte trova il suo senso.

Andare oltre

  • Una nuova vita nasce davvero quando siamo capaci di andare oltre il punto di stallo che ha fermato le vite dei nostri antenati. E’ allora che come Enea con Anchise li portiamo davvero sulle spalle, traendo in salvo, insieme a loro, noi stessi.

Tracce e segni

  • L’attribuire forma a dei segni non è forse sempre un atto di fede, o di ingenuità, o presunzione? E come conferire durata alla percezione di una forma senza cadere nella trappola della sclerosi, senza perdere la fluidità dello sguardo? E come elevarsi abbastanza in alto da vedere un insieme significativo del disegno, senza per questo sentirsi superiori? Perché se riuscissimo a scorgere un disegno nel quale incastonare il nostro piccolissimo frammento di storia patria le lamentazioni non potrebbero che cessare, perché “il male” come i diavoli di Escher, ci apparirebbe strettamente e inestricabilmente connesso con il bene ed angeli e diavoli formerebbero “un’eterna ghirlanda brillante.”

Antonio

Con Ortensia dal 1981 il gruppo M.C.E. di Lucca ha avuto la fortuna e il piacere di condividere la passione per la formazione e la ricerca.

   Queste continue condivisioni ci hanno portato ad essere suoi allievi, suoi amici, suoi parenti, suoi parenti stretti.

   Al di là delle emozioni che oggi ci abitano per la sua mancanza, vogliamo restituire a noi e a tutto il Movimento di Cooperazione Educativa, movimento di ieri, di oggi e di domani, alcuni suoi pensieri, alcune sue parole ritagliate dalla fitta corrispondenza scambiata fra noi.

   Il dire di Ortensia si caratterizza più nel fare domande che dare risposte, il suo comunicare mescola la sua dotta immaginazione a metafore per poterci dire, per dirsi, per ricercare insieme unpercorso, una via comune a tutto il Movimento. 

   Dai suoi primi momenti di ricerca elaborata e praticata, dalla Festa di Marco Cavallo ( Trieste, Ospedale Psichiatrico, Basaglia, Legge 180 ) ai molteplici laboratori condotti in tutta Italia, dal Veneto al Piemonte, dalla Sardegna alla Liguria, dalla Toscana all’Abruzzo, dall’Emilia al Lazio fino agli ultimi da lei animati a Pisa, Ortensia ci ha donato una grande lezione di impegno, passione e cooperazione di pensiero e di azione.

       Carissimo Antonio, il giardino che mi è improvvisamente sbocciato dalla tua lettera davvero non poteva che commuovermi. Esso però, ben al di là delle tue affettuose intenzioni, mi ha ridestato il rammarico per le…. Fioriture che mi nego, che la situazione mi nega, perché troppe sono le cose pratiche e i doveri se si vuole che il MCE continui a vivere. Ma è poi così vero questo? E dov’è la soglia e la misura?

   Ma ovviamente l’ombra non è che un aspetto della luce. Anche se sulle ombre dovremmo imparare a riflettere molto di più insieme.

   Mi sembra che le tue difficoltà possano essere anche positive se immettono nella tua vita nuovi contenuti, nuove piste di ricerca.

   …dato che devo mandare una lettera ai gruppi territoriali su tutte le questioni della vendita libri, avevo pensato di aggiungere in fondo la notizia del mio comando, aggiungendo che questa nuova situazione mi rende disponibile ad accogliere eventuali inviti da parte dei gruppi territoriali. Insomma potrei costituirmi come un Marco Polo che si pone in viaggio per il Catai con lo scopo di descrivere al Gran Kan ciò che ha incontrato e visto (dove il Gran Kan non è altri che colui che viene osservato e descritto). Con questo non penso di assumere la vostra funzione in segreteria anche perché potrebbe succedere che non ci sia nessun Gran Kan, nessuna richiesta, nessuno che voglia essere rispecchiato o fare da specchio….

   …ha un senso nella mia vita ciò che sto facendo? Vale tutto questo il prezzo che pago rinunciando alle amate letture, ai pomeriggi di solitudine meditante, alle gioie intense di seguire, fra i pensieri, le carte, i libri, i ricordi, i sogni e le scritture, i discorsi, i percorsi intricati e affascinanti di ricerche che a volte sbocciano in radure luminose? Sapete, io sono oltre il mezzo del cammino della mia vita e questa domanda sul senso delle scelte è per me ormai inseparabile dalle scelte stesse. Voglio dirvi tutto questo per dare ai vostri pensieri un frammento di ciò che Laing chiama esperienza. Questa è parte della mia esperienza.

   Ancora un’immagine: è più immediata. Lo spazio di via dei Piceni si può percepire come uno squallido stanzone gelido ricolmo e traboccante di insensatezze stampate in un numero eccessivo di copie, pieno di rifiuti, con un pavimento enorme da ripulire, dei bagni immondi con rubinetti rotti, un umido scantinato, un luogo dove con grande fatica e forza di volontà si adempie all’obbligo, assunto in un momento dissennato della propria vita, di spedire fiumi di parole, da noi stessi scritte, a chi, sempre fra noi, per sue incomprensibili ragioni ne reclama con urgenza il possesso.

Oppure sempre lo stesso stanzone può essere un luogo nel quale si ammucchiano, sì, errori editoriali, ma insieme a parole che potrebbero sbocciare, se portate alla luce, a parole che debbono entrare nella catena della comunicazione e produrre gesti, idee, fiorire in azioni. Allora abitare quello stanzone diventa progetto, vita, si colora di senso.

E tuttavia occorrono forze, energie, fiducia, generosità e tanto lavoro cooperativo.  

                                                                                                                          Roma 1983

   Caro Antonio ti inoltro alcune proposte di attività culturali da organizzare in via dei Piceni

 “ Le briciole di Pollicino ”

            Può un percorso di conoscenza contemplare smarrimenti? E chi di segnali ne

            dissemina la via, sarà perciò stesso certo di saperla ripercorrere?

            Sicurezze, incertezze e rassicurazioni in 4 itinerari di ricerca in classi

            elementari, medie e medie superiori.

Le briciole di Pollicino – ricerca e metodi a confronto -…………..insegnanti mce

Il rischio della scrittura – scrivere, leggere ed essere letti – …….mce – Centro Virginia Woolf

Terra, Acqua, Aria, Fuoco – ricerca di bambini e adulti a scuola – …….insegnanti mce

Diverso da chi? – esperienze, ipotesi, digressioni del mce intorno all’handicap

Psicanalisi e educazione – interrogativi, ipotesi e proposte per insegnanti ed operatori vari

Tutto il tempo che va via – mostra dello scarabocchio 0/3 anni – ricerca mce

Chi ha perduto la poesia – esperienze sul linguaggio poetico -gruppo lingua mce

I nove miliardi di nomi di Dio – incontro mce, Pci, Psi, redazione rivista “Religione e Scuola”

Educazione immaginata – Chi educa chi? :

precettore, Platone, istituzione, computer, maestro, guru, artista, scrittore, educatore, terapeuta – antiche e nuove soluzioni al problema. Convegno mce.

Ma questi sono solo frammenti del lungo percorso di vita e passione elargito a tutto il Movimento di Cooperazione Educativa al quale voglio consigliare la letturadel racconto di Kafka “Il messaggio dell’imperatore” che Ortensia Mele usò nel suo intervento agli inizi degli anni novanta in un convegno provinciale a Lucca.

Buon Compleanno Ortensia  10 Agosto da Lucca

Wilma Lencioni

Elisabetta Marinai

Antonio Ronco