In vino veritas. Resta solo l’indignazione

È di questi giorni un accordo tra il governo e l’associazione italiana sommelier (Ais) per introdurre, da settembre 2022 e in molte scuole italiane dalle elementari alle superiori, lo “studio di olio e vino”. Per il Sottosegretario all’istruzione e alcuni parlamentari della commissione cultura è trasmettendo “la cultura del buon bere dalla giovane età” che si promuove il patrimonio culturale italiano.

Mentre le filiere produttiva e professionale legate al vino esultano, la Società Italiana di Alcologia denuncia i rischi dell’alcol e i danni che un tale insegnamento avrà sull’educazione alla salute.

Lo scontro, dunque, è tra chi fa della scuola un territorio di promozione della conoscenza e della cultura dell’olio e del vino (di cui l’Italia è produttrice) e chi, invece, è impegnato a contrastare i danni dell’alcool che resta, secondo l’Istituto Superiore di Sanità, uno dei più diffusi rischi di malattia.

Ma la scuola? Come si colloca la scelta di introdurre questa nuova materia in una scuola italiana che ha ben altre esigenze socioeducative e culturali?  

In che modo lo studio del vino e dell’olio può aiutare la scuola nel suo compito costituzionale, rispondere ai bisogni formativi di studenti e studentesse, di quelli che lasciano precocemente la scuola, oppure di quelli che pur diplomandosi risultano di fatto dispersi sul piano degli apprendimenti e conseguentemente su quello relativo alle future possibilità di studio, lavoro, esercizio di cittadinanza attiva?

La percentuale di abbandoni è oggi pari al 9% della popolazione scolastica. A questo dato va aggiunto quello relativo alla dispersione implicita che, come segnalato nell’ultimo rapporto INVALSI 2022 presentato al Ministero dell’Istruzione il 6 luglio, si attesta al 9,7%[1]

Ciò significa che solo nell’a.s. 2020/2021 la percentuale di ragazzi e ragazze usciti dal circuito formativo senza aver raggiunto le soglie di competenza previste dalle Indicazioni Nazionali è del 18,7%.

Sono dati che ci dicono che la scuola di tutti e di tutte ha difficoltà a garantire il successo scolastico, a sviluppare (soprattutto nei più fragili) luoghi comuni più evoluti, spirito critico, consapevolezze etiche, competenze di cittadinanza, fondamentali per l’effettivo esercizio dei diritti soggettivi senza i quali non ci può essere né benessere individuale né partecipazione democratica, ma anche lo stesso sviluppo economico del Paese è compromesso.

Sono ormai settimane che viviamo il dramma della guerra in Ucraina, da anni crescono nel Paese: l’aggressività e il razzismo (ieri un venditore disabile nero è stato ucciso a mani nude per futili motivi a Civitanova Marche), la disaffezione verso le istituzioni, l’individualismo, il disagio di studenti, studentesse e insegnanti nel vivere la scuola, e i politici del nostro Paese si occupano del vino, dell’olio e delle lobby dei produttori.

Indigna l’assenza di consapevolezza del ruolo istituzionale della scuola, del suo compito fondamentale di garantire lo sviluppo umano, della necessità di politiche scolastiche, territoriali, sociali che mettano la scuola nelle condizioni pedagogiche e strutturali per essere inclusiva, e rendano ognuno e ognuno in grado di sviluppare un proprio progetto di vita, per sé e per il Paese.

In questi ultimi anni, stanno diventando sempre più numerosi e consistenti gli interventi normativi, gli accordi, i protocolli che minano la Scuola della Repubblica e subordinano le sue funzioni al solo servizio delle esigenze di mercato, rendendola ostaggio di una visione di scuola “centrata sul capitale umano (…) utilizzabile nel processo di produzione[2]

Denunciamo l’inconsistenza politica, pedagogica e culturale di questo ennesimo intervento governativo ai danni della scuola.

Non servono nuove materie di studio, così come non servono nuove riforme come quella proposta in un programma politico di abolizione della bocciatura e l’introduzione di un sistema valutativo basato sui diversi livelli di conoscenza raggiunta nelle singole discipline. Anche qui una scelta al solo servizio del mercato del lavoro; un falso problema in assenza di una riflessione sulla necessità che “la scuola assuma come principio organizzativo l’obbligo dei mezzi”[3]e non l’obbligo dei risultati.

I politici del nostro Paese dovrebbero concentrare i loro sforzi, le loro decisioni per azioni politiche concrete agendo su: tempo scuola, precariato, formazione e reclutamento degli insegnanti, risorse certe, strutture, un contratto di lavoro all’altezza del mestiere di insegnante, strutture consolidate per interventi diretti degli enti locali atti a garantire il diritto allo studio, solo per citarne alcune.

Gli insegnanti, ancora una volta, avranno un motivo in più per esprimere il loro impegno e la loro militanza per rifondare dal basso il rapporto tra politica e pedagogia nella consapevolezza che

la scuola non può, come Arlecchino, farsi serva di due padroni[4]. Mercato e democrazia.


[1] Rilevazione nazionale degli apprendimenti 2021-2022 – Prove INVALSI 2022

https://invalsi-areaprove.cineca.it/docs/2022/rilevazioni_nazionali/rapporto/Sintesi_Prove_INVALSI_2022.pdf

[2] M. Baldacci, “La scuola al bivio. Mercato o democrazia?” FrancoAngeli , 2019, p.219

[3] Ph.Meirieu, “Fare la Scuola, fare scuola. Democrazia e pedagogia”, FrancoAngeli,2015,

[4] Ibidem pag.1