Il primo orientamento è la cura

di Anna D’Auria

Un ragazzo ha perso la vita durante un percorso formativo in un’azienda udinese. 

Doveva essere un’esperienza di apprendimento, ma si è trasformata nell’ennesima morte sul lavoro. Solo nel 2021 di morti sul lavoro ve ne sono state 1.221 (Fonte: https://www.repubblica.it/economia/2022/01/31/news/inail-335911068/).

Quella di uno studente in stage è assimilabile unicamente ad una morte sul lavoro? 

Come reagire a questa tragedia che coinvolge la scuola, il mondo del lavoro, la società civile? 

Studenti e studentesse stanno scendendo in piazza, stanno occupando le scuole per chiedere l’abolizione dell’“alternanza scuola-lavoro”, introdotta dalla “Buona scuola” del 2015 e il cui nome è stato poi cambiato dal Ministro Bussetti in quello attuale “Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento”. Accanto a questi percorsi si colloca il percorso duale (https://www.lavoro.gov.it/temi-e-priorita/orientamento-e-formazione/focus-on/Sistema-duale/Pagine/default.aspx) di formazione professionale gestito dalle Regioni in cui era inserito il ragazzo udinese.

Il senso del dispositivo formativo PCTO e del sistema duale è quello di permettere a ragazze e ragazzi in formazione di osservare il mondo del lavoro, confrontarsi con esso, vivere attraverso gli stage la possibilità di mettere in dialogo l’esperienza scolastica con i contesti produttivi.

Una sorta di tirocinio anticipato per poter osservare e conoscere i meccanismi, le procedure, i linguaggi dei diversi contesti lavorativi. Di fatto, nell’interpretazione più generativa, la possibilità per i giovani di entrare in contatto da un lato con contesti organizzativi oltre la scuola, dall’altro con “adulti”, che non siano professori e professoresse, ma lavoratori disposti a prendersene, per un certo numero di ore, “cura” accompagnandoli nella formazione, mettendo a disposizione i loro saperi e le loro competenze. 

Ma non è stato così.

Ci sono state senz’altro esperienze positive, come raccontato da alcuni e alcune ma, a macchia di leopardo, l’alternanza scuola lavoro e il sistema duale hanno dato luogo a forme di lavoro gratuito, sfruttamento, o accettazione passiva di ragazze e ragazzi, vissuti come presenze indesiderate in reparto, ufficio, in assenza di un progetto, di una co-progettazione tra studenti – scuola – tutor di fabbrica e di impresa. 

Un inserimento “selvaggio” dovuto solo ad un problema di organizzazione, di risorse? 

Sicuramente si poteva fare di più. 

Ma, sullo sfondo il problema è un altro: la grande difficoltà del mondo adulto di assumere su di sé la responsabilità della cura delle giovani generazioni. 

«Mai si vide uno spettacolo più ripugnante di una generazione di adulti che, dopo aver distrutto fin l’ultima possibilità di un’esperienza autentica, rinfaccia la sua miseria a una gioventù che non è più capace di esperienza. In un momento in cui imporre a un’umanità, che, di fatto, è stata espropriata dell’esperienza, un’esperienza manipolata e guidata come in un labirinto per topi, quando la sola esperienza possibile è, cioè orrore o menzogna, allora il rifiuto dell’esperienza può, provvisoriamente, costituire una difesa legittima.» (Giorgio Agamben, Infanzia e storia, Einaudi 2001)

È un messaggio forte quello di Agamben che ci interroga e stimola ad affrontare il problema delle nuove generazioni come un problema che innanzitutto va ritenuto del mondo adulto. Un mondo incapace di porsi in posizione di ascolto autentico dei bisogni fondamentali di crescita, di porre un’attenzione qualificata all’infanzia e all’adolescenza, di sentire come compito prioritario investire nelle giovani generazioni. 

C’è questo alla base dell’incapacità di dar luogo a un sistema di governo integrato tra scuola e altri attori sociali, mondo del lavoro per sostenere il compito formativo attraverso la costruzione di curricoli integrati. Ed è così che l’esperienza scuola lavoro finisce per molti e molte con l’aumentare la distanza tra le generazioni e scavare di più nel senso di abbandono che i giovani vivono nei confronti del mondo adulto.

Perché il primo e più valido strumento di orientamento per i giovani è la cura. 

Le manifestazioni in piazza, le occupazioni degli istituti, esprimono questo: il sentimento di abbandono, la percezione dell’assenza di una visione, di un progetto collettivo che di fatto continua a testimoniare la fragilità (se non la miseria) culturale, politica, pedagogica e istituzionale del mondo adulto. Le ragazze e i ragazzi sono dei sensori delle relazioni sociali, perché non hanno il filtro di posizioni ideologiche e possono avvertire il contesto generale con una sensibilità di cui il mondo adulto deve imparare a tenere conto. 

È questa sensibilità e la denuncia dell’abbandono del mondo adulto ad essere state represse, mortificate dalle manganellate. Per questo è ancora più intollerabile l’intervento della polizia.