Freinet e un uso politico della professionalità docente

Crescono le periferie dei bambini.

Una quota sempre maggiore di bambini e di giovani in Italia sono stati sospinti negli ultimi tempi ai  margini della ricchezza, nelle periferie sociali, occupazionali, educative, emotive, della vulnerabilità materiale e del rischio di esclusione sociale”[1].

Permane (se non aumenta) l’insuccesso scolastico tra le stratificazioni sociali più svantaggiate.

Il sistema scolastico nell’Italia meridionale e insulare non solo continua ad essere meno efficace in termini di risultati conseguiti rispetto all’Italia centrale e soprattutto settentrionale, ma appare anche meno equo: la variabilità dei risultati tra scuole e tra classi nel primo ciclo d’istruzione è consistente e in ogni caso più alta che al nord e al centro, così come sono più alte le percentuali di alunni con status socio-economico basso che non raggiungono livelli adeguati nelle prove.” [2]

Per molti questi dati tracciano l’esito di una sconfitta politica delle classi subalterne e di una concezione della Scuola come bene collettivo che, attraverso l’emancipazione del singolo, avrebbe dovuto garantire  lo sviluppo del Paese e la “manutenzione” della stessa democrazia.  Era questa la spinta emancipatrice delle politiche educative degli anni 70/80, delle riforme scolastiche e del modello di accoglienza e di inclusione che vi era sotteso: uguaglianza delle opportunità e equità scolastica,  giustizia e mobilità sociale.

Che cosa è poi successo nel tempo ce lo dicono gli interventi legislativi che si sono succeduti. Se da un lato sul piano economico si è andato affermando un modello neo-liberista, che ha fatto delle logiche del mercato (individualismo/produttività/meritocrazia/competitività) il principale regolatore sociale, dall’altro sul piano legislativo è corrisposta una lunga fase di riduzione degli investimenti nella scuola, di riforme in successione, molestie burocratiche e caos normativo che hanno condotto a quella che Meirieu chiama la “proletarizzazione degli insegnanti”[3].

Ma è recente l’attacco di una parte del mondo della cultura al modello inclusivo della scuola: con l’invito ai professori a non scendere dalla cattedra, col richiamo alle predelle, alle norme, al merito, alla disciplina si tenta di ricondurre le problematiche dell’insuccesso formativo alle pedagogie attive, alla pretesa di emancipazione per tutti, nessuno escluso.

Così come è recente il tentativo del governo di smantellare il sistema scolastico nazionale, accogliendo le proposte di regionalizzazione differenziata: trasformare la scuola da istituzione a servizio, se non a bene  privato, che si vuole resti classista, meglio ancora se  in un Paese diviso.

Un articolo di C. Freinet scritto nel 1934[4], un contesto storico molto diverso da quello attuale, ci offe alcuni spunti di riflessione. Le categorie di riferimento di Freinet  non sono le stesse oggi in uso. Il lessico ci fa cogliere  la distanza da quel contesto socio-culturale e politico, anche se fenomeni di proletarizzazione materiale e culturale sono oggi di nuovo ben presenti.

Siamo nel pieno dei regimi totalitari, di forte limitazione delle  libertà individuali con la cancellazione delle conquiste democratiche precedentemente ottenute, come il diritto di sciopero e di riunione. In Italia in quegli anni nella scuola elementare fu adottato “Il libro fascista del balilla” e Giovanni Gentile impose ai professori universitari il giuramento di fedeltà al fascismo. Molti accademici accettarono di firmare solo perché consapevoli che scuola e Università erano la sola speranza “…per continuare il filo dell’insegnamento secondo l’idea di libertà”. “Ci si mise anche il papa, Pio XI, che su idea di padre Gemelli elaborò un escamotage per i docenti cattolici: giurate, ma con riserva interiore[5]

Eppure, lo scritto di Freinet propone due elementi di analisi fortemente attuali: il rapporto tra cultura – politica ed economia, da cui deriva una precisa idea  e funzione che si assegna alla  scuola; il sottolineare che in particolari fasi storiche diventa più cogente per gli insegnanti la necessità di tenere insieme  l’impegno educativo con quello sociale e politico.

Sul ruolo degli insegnanti e su un uso politico della professionalità sono state elaborate sia la proposta politico pedagogica dei “ 4 Passi MCE per una pedagogia dell’emancipazione[6] che  la campagna lanciata dal Tavolo inter associativo SaltaMuri -Mille scuole aperte per una società aperta. Entrambe le iniziative si pongono come appelli al mondo dell’educazione, richiami ma anche strumenti per consolidare responsabilità, impegno, cooperazione nella direzione della realizzazione di una scuola che si faccia “ presidio di democrazia e di promozione culturale, baluardo di resistenza verso tensioni disgreganti e visioni divisive, luogo di partecipazione e convivenza democratica”[7].

Gli educatori proletari sono anti-fascisti[8]

In questo periodo i giornali politici sono impegnati a discutere sul fascismo che cresce.

Le riviste pedagogiche, almeno quelle che combattono per la difesa della scuola, si ribellano con vigore contro le misure draconiane del governo dell’Unione Nazionale.

Quanto a noi, il nostro ruolo è un altro: al di là delle considerazioni sindacali e politiche che non sottovalutiamo, noi vogliamo ancora una volta mettere in guardia contro un aspetto particolare dell’evoluzione politica non solo i nostri colleghi ma anche tutti quelli che sono interessati all’avvenire del proletariato: il peggioramento delle condizioni economiche e amministrative della scuola, il ritorno ineluttabile della pedagogia a norme che qualcuno ha creduto ingenuamente che fossero state eliminate per sempre dalle nostre società “civili”.

D’altronde, questo è un fenomeno internazionale di cui abbiamo già parlato prima: dopo l’Italia che ha reintrodotto il crocifisso nelle scuole, dopo Hitler che ha messo in riga la scuola tedesca, uno dei gioielli della nuova pedagogia scientifica, dopo gli Stati Uniti che non possono più fare la manutenzione nelle scuole né pagare i maestri, la reazione austriaca distrugge la scuola viennese…..

[…]  L’infanzia proletaria è in pericolo; sta morendo fisiologicamente, dunque moralmente e intellettualmente: la disoccupazione aumenta; l’alimentazione (…) anche se, per i prodigi delle madri, sembra sufficiente, è tuttavia inadeguata ad assicurare lo sviluppo normale dei figli del proletariato; povertà indicibile in scarpe,  calzini,  camicie, […]

[…]  “Famiglia C-h.D… si compone del padre, della madre e di 4 figli: un bambino di 11 anni e tre bambine di 9,5 e 2 anni. Abita in una roulotte posta sotto un capannone coperto, cosa che rende il suo interno particolarmente buio… Misura 4 m di lunghezza su 2 m di larghezza e m1,95 di altezza. Serve da cucina e da camera da letto per 6 persone. I bambini dormono su un pagliericcio messo sotto il letto dei genitori.”

[…] “Pensiamo ai piccoli ai quali a scuola si richiedono sforzo e risultati normali, dopo che  sono stati costretti a  “riposare” in queste misere condizioni. Sono costretti ad eseguire i compiti  a casa  in un’unica stanza, stretta, mal illuminata, piena”.

[…] La povertà è sempre un male. Lo è ineluttabilmente, perché limitando le possibilità educative, limita lo sviluppo dei bambini.

[…] La miseria psicologica nata dalla miseria sociale è impressionante: a Seraing le scuole contano il 28,35% di alunni gracili e denutriti tra i 6 e i 10 anni; il 30% dei giovani di 20 anni è esonerato dal servizio militare; il 37,7% di bambini abitano in una casa insalubre…

[…] In Belgio come da noi (in Francia) tutto questo non basta alla ferocia dei governi “forti”. In entrambi i Paesi, la pratica dei decreti – legge ha portato a  misure identiche: diminuzione, se non eliminazione, dei magri finanziamenti che davano alla nostra scuola pubblica una parvenza di benevolenza democratica: riduzione massiccia  degli investimenti per l’edilizia scolastica, per gli acquisti del materiale didattico, per l’assistenza sanitaria e sociale, per l’ aiuto alle famiglie, per la mensa, per la fornitura di libri… Si risparmia in modo impietoso su queste spese già insufficienti e si incoraggia e si protegge il traffico criminale dei mercanti di cannoni. Si riduce il numero di insegnanti mentre,  allo stesso tempo, si riducono i loro stipendi. Il risultato è che si ammassano sempre di più in aule insufficienti le greggi dei piccoli proletari […]

Non bastano poche misure assistenziali, motivate più dalle necessità elettorali   che da sentimenti di equità sociale, a impedire alla realtà di emergere: quella di una scuola dove, fin da subito e indipendentemente dalle sue  capacità intellettuali, il bambino è messo sistematicamente in stato d’inferiorità pedagogica perché figlio di proletari, questa scuola è consapevolmente, e nonostante tutti i sofismi, una scuola classista che non è stata creata per il bambino e dove l’infanzia è costretta a servire un regime  e a subirne le tare e gli errori.

E’ nel nome della scuola popolare, nel nome della nuova pedagogia che noi protestiamo contro un così iniquo sabatoggio delle funzioni sociali dell’educazione.

Il tempo delle illusioni trasformiste è passato: il capitalismo minacciato dalla crescita delle forze giovani e audaci diventa spietato. Ora è necessario gettare le ultime maschere: tutti i nostri sforzi ideologici, tutte le nostre ricerche disinteressate per una più sana comprensione del nostro compito, tutte le nostre aspirazioni verso il progresso dell’educazione sono direttamente e materialmente minacciati dal continuo peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei bambini, dei loro genitori, dei loro insegnanti. Noi stiamo tornando a una specie di Medio-Evo pedagogico, e questo ci sembra tanto più mostruoso e intollerabile in quanto a volte abbiamo creduto, praticamente, di essere vicini alla meta: se soltanto si fosse destinata all’educazione una parte dei soldi sprecati per l’incessante preparazione della guerra, le nostre scuole sarebbero diventate fari di umanità, embrioni di una società nuova ed armoniosa. 

Gli educatori non hanno più la possibilità di scegliere tra l’educazione che rigenera e la rivoluzione sociale. Il doppio processo che più volte abbiamo denunciato arriva oggi alla sua fatale conclusione. La società capitalista, dibattuta tra il profitto che è la sua ragion d’essere e il perfezionamento umano che viene ostentato come paravento, è oggi obbligata a sacrificare la vita e l’educazione dei giovani ai suoi interessi di classe. La miseria operaia, quella scolastica, il degrado sociale colpiscono nelle sue forze vive tutta la pedagogia popolare. Ora dobbiamo arrenderci all’evidenza: quali che siano gli sforzi e l’impegno dei nostri compagni, l’impotenza della scuola popolare nel regime capitalista si rivela fragorosa e indiscutibile.

Se le forze d’oppressione, normali in regime capitalistico, non sono bastate a distruggere lo spirito d’emancipazione che, nei tempi di crescita della borghesia, è venuto dall’educazione nuova, lo Stato non si è fatto scrupolo di intervenire direttamente per imporre la sua autorità. Questa nuova fase in Francia è appena all’inizio, ma a meno che le forze operaie, rialzando la testa, non impongono un nuovo orientamento sociale – aspettiamoci di vedere lo Stato   denunciare i metodi nuovi come accade in Belgio, autorizzare  le pene corporali come accade in Germania, assoggettare la scuola alla Chiesa come accade in Italia. Questo non è l’effetto di uno spiacevole esempio, ma  la necessità vitale di un regime che non può tollerare i nostri sforzi di liberazione pedagogica, non più di quanto sopporti i sussulti di liberazione  sindacale e politica.

Cosa fare allora, diranno i compagni?

Nel momento in cui la massa operaia reagisce coraggiosamente contro la crescita del fascismo, non è da noi cedere alla disperazione. Per nostra abitudine noi abbiamo voluto misurare esattamente il pericolo al fine di impegnarvi e  prepararvi alle lotte decisive e ineluttabili.

Occorre continuare la nostra azione pedagogica, continuare malgrado le difficili esperienze che costellano poco per volta la strada dell’educazione popolare liberatrice. I nostri sforzi non saranno del tutto inutili. 

 E’ tuttavia urgente restituire a queste preoccupazioni pedagogiche il posto che è loro dovuto nella società: […] un posto d’onore per coinvolgere studenti, genitori e insegnanti in un compito di cui essi devono sentire tutta la portata emancipatrice per essere preparati a condurre la lotta su tutti i terreni: sociale, sindacale, politico. Per assicurare il pane e  le cure ai figli dei lavoratori, per costruire loro delle abitazioni illuminate e ben aerate, per edificare scuole moderne, per arredarle e fornirle del materiale indispensabile; per esigere la preparazione e il reclutamento di nuovi  insegnanti e ridurre a un livello  normale l’insuccesso scolastico, per combattere le influenze nefaste della stampa, del cinema, della Chiesa, malgrado e contro tutte le forze reazionarie, gli insegnanti devono resistere sia come cittadini sia come educatori, decisi a mettere il loro compito al servizio del processo storico di progresso sociale.

In questo momento, il nostro dovere di educatori proletari non può realizzarsi soltanto nelle nostre classi minacciate; è anche insieme alle masse che, attraverso la loro potente protesta antifascista, cercano di sbarrare la strada a  un regime che porterebbe con sé la morte della scuola progressista e il provvisorio annientamento dei nostri sogni di un’educazione nuova emancipatrice. 

C. FREINET


[1] Da Atlante dell’infanzia a rischio – Le periferie dei bambini, 2018- pag. 42 

[2] Rapporto Nazionale PROVE INVALSI 2019 – pag.10

[3] Philippe Meirieu – Lettre à un jeune professeur – éditeur Cognitia, 2005 – pag. 39

[4] di cui si riportano alcuni stralci tradotti e in allegato l’articolo in versione integrale

[5] da Archivio Repubblica – I professori che dissero no a Mussolini https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2000/04/16/professori-che-dissero-no-mussolini.html

[6] http://www.mce-fimem.it/evento/4-passi-verso-una-pedagogia-dellemancipazione/

[7] http://www.saltamuri.it/2018/11/21/sviluppiamo-a-partire-dalle-scuole-la-complessa-arte-della-convivenza/

[8] In  L’Éducateur Prolétarien  – Maggio 1934 – https://www.icem-pedagogie-freinet.org/node/36148

    traduzione di A.D’Auria

Articolo di Freinet nella versione integrale e originale in francese