Come sarà la riapertura a settembre delle scuole?

Si fa un gran parlare di distanziamento sociale, di misure e di spazi nei quali “stipare” gli alunni (tot metri per tot alunni) e di misure sanitarie.

Le scuole del nostro Paese hanno bisogno di riaprire urgentemente, ma per farlo hanno bisogno di rinnovamento, che non può essere rappresentato dal tornare come prima.

Contestiamo la definizione di distanziamento sociale e preferiamo parlare di distanziamento fisico, poiché il distanziamento sociale prefigura rapporti inesistenti o comunque lontani, mentre la scuola ha necessariamente bisogno di relazioni significative dove le persone si mettano in gioco con la fisicità, l’umanità, la complicità. 

Inoltre, gli alunni non sono statue e hanno bisogno di muoversi. Già è inaccettabile che i bambini stiano nello stesso ambiente (l’aula) per otto ore e spesso con lezioni ancora frontali senza poter lavorare utilizzando le opportunità (lavoro individuale, in coppia, in piccolo gruppo, collettivo) che offre una moderna visione dell’apprendimento, visione socio-costruttiva e cooperativa, dove la “fisicità” è un elemento imprescindibile per l’apprendimento.

Ancora una volta la differenza potrà essere rappresentata dagli insegnanti e dalle comunità scolastiche che sapranno mettersi in gioco e proporre nuove pratiche didattiche.

Una delle possibili risposte dovrebbe essere quella di uscire dalle aule, fare lezione nei cortili e nei giardini il più possibile, anche perché all’aperto ci sono meno problemi sanitari. Poi utilizzare il territorio: negli anni Settanta a Torino si pensò, soprattutto ad opera di insegnanti del Movimento di Cooperazione Educativa, (in primis Fiorenzo Alfieri poi diventato Assessore della città) di uscire dalle scuole e andare a visitare forni per il pane, fabbriche, fognature, ecc. Ciò fu pensato quale risposta alla domanda di Bruno Ciari, maestro e poi Direttore a Bologna delle scuole Comunali, che si chiedeva: ”Tempo pieno, ma pieno di che?”,poiché si pensava non fosse possibile far trascorrere otto ore agli alunni seduti nei loro banchi. Allora nacquero i progetti integrati scuola/territorio e questi si dovrebbero riproporre anche oggi.

Pensiamo che il Ministero dovrebbe ridiscutere con le compagnie assicurative nuovi accordi e sottrarre gli insegnanti dal cappio di regole che impediscono loro tante attività che invece sarebbero utili per i nostri ragazzi. Gli insegnanti dovrebbero sentirsi garantiti nello svolgere la loro attività e poter riprendere ad uscire non una volta una tantum ma con frequenza con le classi, a fare laboratori di falegnameria, a praticare attività manuali che sono utilissimi per la crescita degli alunni.

La tecnologia può essere uno strumento utile se viene messa al servizio di Piani di lavoro preparati insieme agli alunni, di attività che abbiano un senso logico all’interno di una didattica attiva e cooperativa: per esempio scrivere lettere di diverso tipo a persone reali e su argomenti sentiti, perché compresi e vissuti nel territorio, avere corrispondenze con amici vicini e lontani, preparare monografie sul territorio da scambiare con amici corrispondenti, produrre giornalini, locandine, opuscoli, ecc.

Insomma, vorremmo che si parlasse di Pedagogia a proposito della ripartenza delle scuole, poiché soprattutto di questo c’è bisogno.  La pandemia è stata una brutta botta, ma potrebbe darci la possibilità di rimettere in discussione le basi di una scuola che, al di là di eccezioni, si rifà ad un modello vecchio e sorpassato. E il nuovo non può essere la Didattica a Distanza o il mero utilizzo dell’informatica. 

Dovremmo preoccuparci di come ritroveremo gli alunni e le alunne e di quali eredità avrà lasciato l’esperienza del confinamento causato dal Covid19. I ragazzi che cambieranno ordine di scuola senza aver potuto elaborare in presenza il passaggio dovrebbero essere messi nelle condizioni di farlo, anche se a posteriori, e prevedere incontri delle vecchie classi riunite.

E per favore, genitori e insegnanti non iniziate l’anno parlando di programmi da recuperare.

Prima di tutto perché i Programmi non esistono più e bisogna attenersi alle Indicazioni Nazionali per il curricolo, e poi perché si tratta piuttosto di scegliere gli argomenti sui quali impegnare gli alunni. Quale miglior argomento se non il Territorio, come dicevamo prima. Un Territorio che va conosciuto, amato, coccolato, protetto e ci dà la possibilità di tanti lavori interdisciplinari che potrebbero interessare bambini e ragazzi.

Per fare questo c’è però bisogno di Formazione. Una Formazione non di tipo cattedratico e frontale, ma imperniata sull’intreccio tra la teoria e il fare, con la partecipazione degli insegnanti a laboratori e pratiche sulla conduzione del gruppo, sull’ascolto emotivo e la capacità di motivare gli interessi di tutti, anche degli alunni e delle alunne più difficili.

Maristella Borlenghi e Roberto Lovattini, docenti del Movimento di Cooperazione Educativa.